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L'OSPITE“Prima i nostri (interessi elettorali)”

09.09.16 - 19:00
Enrico Borelli, segretario regionale di Unia Ticino
“Prima i nostri (interessi elettorali)”
Enrico Borelli, segretario regionale di Unia Ticino

«Prima i nostri»? Se i fautori dell'omonima iniziativa popolare in votazione il 25 settembre prossimo fossero sinceri, ammetterebbero che «i nostri» sono in realtà i loro interessi elettorali. È infatti evidente che la proposta non ha nulla a che fare con la tutela dei lavoratori ticinesi o con la lotta al fenomeno dilagante del dumping salariale, ma è solo uno strumento per cavalcare le incertezze e le paure dei cittadini confrontati con problemi reali, con i salari in picchiata, con un mercato del lavoro divenuto ormai una giungla in Ticino.

Per giungere a questa conclusione basterebbe anche solo ricordare che l'iniziativa «Prima i nostri» è stata promossa da quella stessa Unione democratica di centro (UDC) che, a livello federale come a livello cantonale, si oppone sistematicamente a qualsiasi misura legislativa a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e che anzi si adopera per smantellare anche quelle poche garanzie date dal nostro diritto del lavoro, che è già tra i più «leggeri» d'Europa. Del resto, se fosse stato per l'UDC, non sarebbero entrate in vigore nemmeno quelle misere misure accompagnatorie adottate in occasione dell'entrata in vigore dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone (leggasi della forza lavoro) con l'Unione europea, che nel nostro cantone, complice proprio l'assenza di regole efficaci, ha spalancato le porte all'abuso sistematico: attraverso la violazione di contratti e di leggi ma anche attraverso attività criminale, come dimostra peraltro l'accresciuto impegno del Ministero pubblico nel perseguimento dei reati che vanno in scena sui luoghi di lavoro.

Se si vanno poi a leggere le argomentazioni in favore dell'iniziativa risulta ancora più evidente come all'UDC non interessi individuare e risolvere i problemi reali. Si prenda l'analisi che essa propone sulla situazione del mercato del lavoro in Ticino: esso sarebbe «sotto pressione a causa della grande massa di manodopera estera che si riversa in Ticino accettando paghe da fame». La colpa sarebbe insomma dei lavoratori frontalieri che accettano salari per noi troppo bassi e non di quei datori di lavoro che li vanno a cercare e che li assumono, magari in sostituzione di un dipendente residente in Svizzera, al solo scopo di aumentare il loro margine di profitto.

Seppur intenzionalmente, l'UDC sbaglia insomma nettamente bersaglio, alimentando così le divisioni tra lavoratori (da una parte i residenti buoni e dall'altra i frontalieri cattivi): questo è il modo «migliore» per peggiorare ulteriormente la situazione. L'unica via per fermare il degrado dell condizioni di lavoro, dunque per rafforzare i diritti e difendere le conquiste sociali, va nella direzione esattamente opposta, cioè in quella che mira a unire tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori in una battaglia per il rafforzamento del diritto del lavoro: salari minimi, contratti collettivi degni di questo nome (unico antidoto per frenare la messa in concorrenza dei lavoratori da parte del padronato che è all'origine di fenomeni quali il dumping e la sostituzione del personale), inasprimento delle sanzioni, aumento dei controlli (come giustamente chiede l'iniziativa «Basta con il dumping salariale in Ticino», pure in votazione il 25 settembre) e tutela dei delegati sindacali nelle aziende, che potrebbero giocare un ruolo fondamentale nel controllo e nella denuncia di situazioni di sfruttamento e di illegalità. Ma queste sono proprio le misure che i partiti borghesi e quelli di «Prima i nostri (interessi elettorali)» non vogliono.

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