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INTERVISTADa Ponte Tresa a Mediaset: "Cercavo solo di non fare il ragioniere"

18.05.12 - 08:00
Enzo Iacchetti si licenziò da un ufficio di Lugano per animare Radio Tresa. Finché un certo Francesco Salvi...
Foto del 1979 per gentile cortesia di Marco Paltenghi
Da Ponte Tresa a Mediaset: "Cercavo solo di non fare il ragioniere"
Enzo Iacchetti si licenziò da un ufficio di Lugano per animare Radio Tresa. Finché un certo Francesco Salvi...

PONTE TRESA - In molti sanno che Enzo Iacchetti cominciò la sua folgorante carriera al mitico Derby Club di Milano. In pochi ricordano, però, che ancor prima di approdare al club milanese il buon Enzino animava una radio locale, oggi purtroppo scomparsa, la cui sede era a un tiro di schioppo dal confine, in via Zoni a Ponte Tresa Italia.

Radio Tresa, una radio libera, di protesta e vicina alla gente, era nata in modo artigianale nel 1978. Poco dopo vi approdò Enzo Iacchetti, che in pratica diventò lui stesso la radio. Infatti il noto comico italiano, all'epoca nemmeno trentenne, faceva praticamente tutto, dal radiogiornale alle trasmissioni per bambini, dai varietà per le casalinghe ai contributi politici più impegnati.

Impegnati a sinistra come, a detta dello stesso Iacchetti, era ovvio che fosse in quel periodo. "Molti sindaci di destra rifiutavano le nostre interviste, temevano che li avremmo "sputtanati"..." afferma il luinese, che all'epoca sfoggiava una lunga barba e aveva tutta l'aria di un brigatista rosso.

“Infatti in dogana mi fermavano sempre” racconta divertito Enzo Iacchetti, “anche perché guidavo una Renault 4 rossa, la stessa auto in cui avevano trovato il cadavere di Aldo Moro. Io dicevo ai doganieri. "Guardate che Aldo Moro l'hanno già trovato, perché mi perquisite tutte le sere? Ma non c’era niente da fare, almeno una volta al mese mi smontavano completamente la macchina. Però non hanno mai trovato nulla. Non mi drogavo e non bevevo, sono vizi che non ho mai avuto.”

Aveva però il vizio della provocazione…
“Mah, Radio Tresa era la radio delle persone semplici, sempre dalla parte dei lavoratori. Ai sindaci davamo fastidio, avevano paura delle radio libere come la nostra.”

Su Youtube si trovano registrazioni di interviste che lei faceva in giro per i comuni di confine, ma anche per il Malcantone, dove parlava con tutti, dal contadino al segretario comunale.
“Sì, quelle interviste su Youtube le ha inserite negli ultimi tempi Marco Paltenghi, un amico che oggi lavora alla RSI ma che allora operava a Radio Tresa sotto le spoglie di Marco DJ. Un grande... Ora Marco ha deciso di riportare alla luce queste testimonianze storiche, che magari non hanno un grande valore giornalistico ma mostrano bene lo spirito dell’epoca. In effetti Radio Tresa era una radio all'avanguardia, anche perché era l'unica radio di confine, per cui la seguivano sia i frontalieri che gli svizzeri con un certo tipo di pensiero. E noi davamo spazio a tutti. “

Era una radio un po' sovversiva?
"Sovversiva forse no, ma era chiaramente una radio di sinistra, almeno nei radiogiornali e in un paio di trasmissioni durante il giorno. Quando riuscivamo, andavamo anche a intervistare i sindaci di destra, non è che eliminavamo il contraddittorio, però la nostra era una radio di protesta.”

In cui faceva praticamente tutto lei…
“Io ero l'unico pagato, perché la radio non aveva molte pubblicità. Prendevo 400mila lire al mese, però lavoravo dalle 7 del mattino alle 8 di sera. Facevo tutti i programmi io e cambiavo le voci. Alle 7.30 facevo il radiogiornale con la voce da speaker di radiogiornale, molto serio. Poi dalle 9 a mezzogiorno partiva la trasmissione per le casalinghe e allora lì facevo lo spiritoso, mettevo i valzerini, mettevo canzoni a richiesta della gente, rispondevo al telefono... Facevo finta di essere un altro. Poi dalla una all'una e mezza c'era l'hit parade e facevo la voce del lupo solitario, quella del film degli anni '50. Poi dalle 4 alle 5 c'era la trasmissione per i bambini e facevo la voce dello zio Sam, che era un vecchietto del Far West che raccontava storie…"

Quindi la gente pensava che c'erano dietro tante persone e invece...
"C'erano due o tre volontari che coprivano le ore serali con musica. Poi dalle 18.30 alle 19 c'era il programma di punta, che era quello che accompagnava i frontalieri verso casa, per cui si discuteva sempre di problemi politici. Non essendoci i telefonini, però, la voce era sempre la mia, non c'erano controrisposte. La gente dalle macchine non poteva telefonare, però dai rilevamenti di ascolti, fatti alla nostra maniera, si capiva che la gente seguiva.”

Vi spingevate anche oltre la zona di confine?
“Ho un aneddoto in particolare, che riguarda pure un amico che adesso è alla tv svizzera, Carlo Somaini. Siamo stati gli unici due giornalisti non accreditati all'inaugurazione del San Gottardo. Siamo arrivati lassù con il nostro registratore ma non ci hanno fatto entrare perché non avevamo l'accredito. Alle radio private all'epoca non lo davano. Noi siamo riusciti a infilarci sul pullman, come ci si imbosca nei matrimoni, e abbiamo fatto il nostro servizio, dove avevamo anche citato quanti morti c'erano stati per costruire quella galleria... Insomma una bella trasmissione, una cosa diversa da quello che faceva la stampa tradizionale."

Questi erano anche i suoi ideali?
"Io cercavo solo uno spazio per non fare il ragioniere. Mi ero appena licenziato dalla Globus di Lugano perché non ce la facevo a stare in un ufficio. Per me che ho sempre avuto la chitarra in mano, fin da quando avevo 9 anni, stare in una radio privata era come un sogno. Poi, come posizione politica, nelle radio private all'epoca eravamo un po' tutti da quella parte. Poi adesso molti sono passati dall'altra, altri non credono più in niente, altri ancora credono in Beppe Grillo, altri credono in mille valori... Io sono arrivato a un età in cui rispetto ogni opinione pur lasciando il mio pensiero libero di esprimere quello che voglio. Non mi sono mai venduto a nessuno, né di sinistra né di destra. Ma in quegli anni è chiaro che un ragazzotto nemmeno trentenne poteva solo pensare in quel modo, soprattutto se era un artista.”

Quindi Radio Tresa è stato il suo primo lavoro nel mondo dell'intrattenimento?
"Sì, perché poi alla sera dopo un anno che stavo lì mi hanno preso al Derby di Milano, grazie a un provino di cabaret che mi aveva procurato Francesco Salvi di Luino. Lì lo spettacolo cominciava alle 11 e mezza di sera, quindi io finivo a Radio Tresa, andavo a  Milano, facevo il mio spettacolo, alle 3 di notte tornavo a Maccagno e alle 6 del mattino partivo per Ponte Tresa, perché poi lì avrei dovuto comprare tutti i giornali, leggermeli, ritagliare le notizie più importanti e preparare il radiogiornale delle 7.30. Mi facevo un mazzo pazzesco. Al Derby guadagnavo 12mila lire a sera, a Radio Tresa 400mila al mese. Avevo già una famiglia, ero già sposato, avevo già un bambino, però mi sentivo felice perché finalmente facevo quello che avevo desiderato di fare. Dopo a Milano è andata bene, piacevo e quindi ho dovuto abbandonare la radio anche perché dormire 3 ore al giorno era diventato impossibile. Ho abbandonato la radio nel '79 e sono stato fisso al Derby fino all'84 e poi via tutto il resto."

Si può dire che la gavetta l'ha fatta, eccome…
"Gavetta trentennale e altri 24 di carriera. Perché arrivare, se hai voglia, talento e spirito di sacrificio, ce la fai. Il problema è rimanere, lì è più difficile. Però io sono arrivato al successo che ero già quasi quarantenne per cui non avevo più paura di niente, avevo già passato tutte le esperienze del mondo.”

Una radio come Radio Tresa potrebbe ancora trovare il suo spazio al giorno d'oggi?
"No, oggi ci vogliono troppi soldi per fare una radio, altrimenti le altre ti schiacciano. È diventato un meccanismo molto commerciale, per cui la radio libera nel vero senso della parola non esiste più, esiste la radio commerciale che più soldi prende meglio è. Un cantante qualsiasi non potrebbe mai passare a Radio Deejay piuttosto che a Radio Italia. Invece a Radio Tresa andavamo a registrare i concertini nei grotti, della Pocafera Band, e poi li mandavamo in onda la sera successiva. Quindi qualsiasi movimento culturale aveva uno spazio. Adesso per mandare in onda un disco su una radio network devi pagare, altrimenti non c'è niente da fare."

Tenevate viva la scena culturale della zona di confine.
"Sì, era molto viva, mi ricordo benissimo. Io stesso facevo tanti spettacoli, anche in collaborazione con i gruppi ticinesi. Chiaramente ognuno aveva il suo lavoro, quindi non avevamo pretese di soldi, però la stessa tv svizzera, che allora nel ramo musicale era seguita dal grande Pedrazzetti Sandro, ci faceva sempre dei servizi quando andavamo a cantare nei ristoranti, nei grotti o nelle feste di piazza. Perché noi cantavamo in dialetto e facevamo canzoni strane prima ancora di Elio e Le Storie Tese. Nei primi anni '70 erano le prime collaborazioni che avevo con la Pocafera band. Eravamo un gruppo folkloristico che cantava in dialetto le problematiche sociali, quindi eravamo molto all'avanguardia. E la tv svizzera ci dava spesso dello spazio e facevamo parecchie serate. Anche Radio Tresa era sempre presente a registrare, ma non solo i nostri concerti, ma quelli di chiunque arrivava a suonare in zona. Era uno spazio culturale libero. Adesso non puoi più entrare in un network e dire io faccio io suono perché non è più così."

Lei passa ancora da Ponte Tresa ogni tanto?
"Ci sono passato raramente, solo un paio di volte, ultimamente, ma sempre col magone. Guardo la stradina dove c'era la radio, e dove adesso c'è una rosticceria, credo. Poi sono venuti a mancare alcuni amici, gente che mi dava da mangiare per esempio. Perché in radio gli ascoltatori mi portavano da mangiare. C'era un certo Tonino Del Giudice che sapeva che a mezzogiorno io finivo la trasmissione per le casalinghe, arrivava lì e mi diceva : dai metti un nastro di un'ora e vieni su a mangiare. Oppure mi portavano la pizza o altre cose. Devo molto a quella radio, ma come scuola d'umanità più che altro, perché il mestiere che volevo fare era un altro."

La radio era nata anche su sua iniziativa?
"No, c'era già. Io conoscevo un amico di Varese che ci lavorava e mi ci ha portato. Nella zona ero abbastanza conosciuto come folk-singer, avevo un gruppo di cabaret e un gruppo di beat, alla fine della sua strada, perché ormai il beat non funzionava più. E hanno fatto tutti uno sforzo per darmi questo stipendio."

Quali sono i suoi progetti, ora?
"Ho appena realizzato una diga di terra, che raccoglierà l'acqua piovana in una zona di siccità del Kenya. Darà l'acqua a 4000 persone. Là un bicchiere d'acqua salva una vita umana. È una cosa che ho voluto fare con il disco di Natale, al quale hanno partecipato anche Mina, Lucio Dalla, buon'anima, Roberto Vecchioni, Baglioni, Ruggeri... Abbiamo venduto 35mila copie e con questi soldi abbiamo costruito la diga in Kenya. La solidarietà per me è come un ringraziamento per quella fortuna che ho avuto di riuscire di fare il lavoro che ho sempre sognato fin da piccolo. Mi piace aiutare chi è più sfortunato di me."

La rivedremo ancora su Mediaset?
"Se ci sarà ancora Mediaset... (ride) Spero che mi rivedrete, probabilmente a gennaio. Prima farò ancora teatro, questa estate sarò in giro con uno spettacolo di cabaret... Ma il teatro sarà la mia pensione, perché prima o poi la televisione, con l'intervento del web, sarà schiacciata sicuramente."

Non tanto presto...
"Fra 10 anni credo che non ci saranno più risultati auditel. Sarà entrato nel vivere delle persone guardarsi quello che vuole, magari gratis..."

Qualcuno i contenuti dovrà produrli.
"Sì, ma il web ci sta già pensando."

E in Ticino la rivedremo?
"Sono amico del Ticino, lo sono sempre stato. Ho sempre pensato anche di continuare a collaborare con la tv svizzera, con la quale ho sperimentato tante cose, anche da personaggio conosciuto. Anche se so che la tv svizzera passa un periodo brutto economicamente, in particolare quella del Ticino. Perché evidentemente le fonti di Berna chiudono i rubinetti e..."

Più che brutto, è un periodo un po' meno bello che in passato...
"Sì, ma in passato mi ricordo che qualche soldino si vedeva. Adesso mi dicono sempre: “Enzo fai quello che vuoi purché non chiedi soldi”. Tante volte mi piacerebbe fare delle cose però non ci sto dentro e allora rinunciamo. Però siamo in buonissimi rapporti."

Ci manda un saluto per i lettori di Ticinonline?
"Certo, cari lettori di Ticinonline, iscrivetevi al mio fans club su Facebook! Lì comunico quello che faccio e quello che dico, perché ogni tanto esterno anche i miei pensieri. Ho più di 60mila fans su Facebook che vogliono sapere, sono scatenatissimi. E io ogni due o tre giorni faccio un video per aggiornarli."

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