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PeopleAIDS: 40 MILA ITALIANI SIEROPOSITIVI SENZA SAPERLO, 1 SU 6 'OVER 40'

18.06.08 - 17:50
AIDS: 40 MILA ITALIANI SIEROPOSITIVI SENZA SAPERLO, 1 SU 6 'OVER 40'

Roma, 18 giu. (Adnkronos Salute) - Circa 40 mila italiani sono Hiv-positivi e non lo sanno. E non si tratta più solo di giovanissimi: in un caso su sei sono 'over 40' che si infettano con rapporti occasionali non protetti, non fanno il test e finiscono per contagiare, senza volere, le compagne. Così in dieci anni è cambiato l'identikit dei sieropositivi italiani, come emerge dalla fotografia scattata dallo studio Icona, un progetto nato nel '97 per monitorare una coorte di pazienti naive (sieropositivi mai sottoposti a trattamento antiretrovirale), e che negli anni ha seguito oltre 6.200 persone provenienti da 71 centri clinici in tutta la Penisola, coordinati da 6 centri universitari. Nel 2007 lo studio ha dato vita a una Fondazione omonima, presieduta da Mauro Moroni, ordinario di malattie infettive dell'Università di Milano, che ha promosso oggi a Roma un incontro per fare il punto sulla situazione. "Dopo 10 anni sono cambiati i sieropositivi italiani - spiega Moroni - Dieci anni fa il virus 'camminava' con lo scambio di siringhe, oggi più del 70% delle donne e oltre il 40% degli uomini si infetta attraverso rapporti sessuali". E' cresciuta la via di trasmissione omosessuale, ma soprattutto quella eterosessuale, evidenzia Antonella d'Arminio Monforte, ordinario di malattie infettive dell'Università di Milano e segretario scientifico della Fondazione Icona. Ed è cresciuta l'età degli Hiv positivi. "Il problema - aggiunge l'esperta - è che oggi il rapporto occasionale non è visto come pericoloso". "Il vecchio concetto delle categorie a rischio è crollato - sottolinea Moroni - Sempre meno persone fanno il test, e questo perché non si rendono conto di essere a rischio. Così l'Hiv si scopre sempre più tardi. E la stima è che 40 mila persone ingnorino la propria condizione" e si trasformino in inconsapevoli 'untori', "che avranno anche più problemi per affrontare le terapie". Nel frattempo di Aids oggi "si parla sempre meno. Ma il pericolo non è passato: ogni giorno - sottolinea Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, che ha ospitato l'incontro - 13 persone si infettano con l'Hiv in Italia, episodi prevenibili nel 99% dei casi". Il sommerso, evidenzia Moroni, rappresenta una 'bomba epidemiologica', che ci spinge a non abbassare la guardia. Se i casi di Aids sono 24mila, prosegue Ippolito, si stima che i sieropositivi siano 75-80mila (di cui, appunto, la metà sommersa). L'età degli Hiv-positivi è aumentata: in un caso su sei sono 'over 40' e in uno su 20 'over 60'. Lo stesso dicasi per i malati di Aids: l'età media è di 43 anni per gli uomini e 40 per le donne. Inoltre diminuiscono i tossicodipendenti, e aumentano gli stranieri. Nel bilancio della Fondazione Icona non mancano, però, le buone notizie. "Dopo 10 anni, grazie ai farmaci antiretrovirali, la mortalità per Aids si è ridotta dal 100% all'8% circa", aggiunge Moroni. Ma il problema è che troppi oggi si scoprono infetti quando sono già malati. Inoltre resta il nodo dell'aderenza alle terapie: "Dai nostri dati - precisa Andrea Antinori, direttore dipartimento clinico dello Spallanzani di Roma - emerge che ancora il 20-35% dei soggetti in trattamento non è ligio nel seguire le terapie". Insomma, nonostante i progressi, molti pazienti faticano a seguire attentamente tempi e modi delle cure. "Un elevato numero di compresse, la complessità degli schemi e gli effetti collaterali dei farmaci sono i motivi più frequenti di insufficiente assunzione delle terapie. Tanto che ancora moltissimi pazienti finiscono per cambiare regime terapeutico dopo il primo anno", prosegue Antinori. E c'è il problema delle mancate cure precoci. "Oltre il 60% dei nuovi casi di Aids non ha effettuato terapie prima della diagnosi di malattia conclamata", precisa Ippolito. "Oggi non si tratta più di parlare solo agli adolescenti: c'è una fetta di adulti e anziani esposti al rischio - sottolinea l'esperto - che magari ricorrono a farmaci per avere rapporti occasionali, e al turismo sessuale, e fanno sesso senza precauzioni". C'è poi un altro problema: nel 2007 le stime "mostrano una sostanziale stabilità nel numero di nuovi casi di Aids rispetto all'anno precedente, un'interruzione della diminuzione di casi - dice Ippolito - legata proprio al mancato accesso precoce alla terapia". "La non consapevolezza dell'infezione - aggiunge Enrico Girardi, Direttore dell'epidemiologia dello Spallanzani - può favorire un'ulteriore diffusione del contagio: è stato dimostrato che le persone con infezione da Hiv riducono significativamente i comportamenti a rischio, una volta informati del loro stato". Ma allora cosa fare? Secondo gli esperti, occorre offrire il test ai nuovi gruppi di popolazione, dalle donne in gravidanza, a quante vogliono avere un figlio, ma anche ai loro partner, anche in assenza di fattori di rischio 'classici'. E nei laboratori? "E' il momento di darsi obiettivi più ambiziosi - assicura Adriano Lazzarin, direttore del Dipartimento di malattie infettive del San Raffaele di Milano - Oggi l'obiettivo è quello di arrivare alla viremia negativa nella stragrande maggioranza dei pazienti in trattamento. Per i prossimi 2-3 anni - conclude - i centri clinici saranno impegnati a raggiungere questo obiettivo".

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