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LUGANO

«Mi scuso, per paura di deludere» e «grido al passato, dopo un addio»

Giorgio Poi a Lugano, parla di sé e del suo nuovo album di «musica pop»: «Le "Schegge" siamo noi. Le nostre vite si intrecciano, dentro una gigantesca esplosione».
Ilaria Magliocchetti Lombi
«Mi scuso, per paura di deludere» e «grido al passato, dopo un addio»
Giorgio Poi a Lugano, parla di sé e del suo nuovo album di «musica pop»: «Le "Schegge" siamo noi. Le nostre vite si intrecciano, dentro una gigantesca esplosione».

LUGANO - È snervante superare in auto le strade congestionate di Lugano, nell'ora del rientro. Arrivo appena in tempo per l'intervista, con in testa uno di quei ritornelli che da giorni non mi lasciano più, "mi hai lasciato sulle labbra il rosso dell'alchermes... e il tuo herpes".

Parole (e musica) di Giorgio Poi, giovane musicista e cantautore - romano d'adozione - ospite dello show case condotto da Gian Luca Verga all’Auditorio RSI di Besso. Con i nove inediti delicati e pungenti del suo nuovo e quarto album "Schegge", la mente viaggia su strade inaspettate e il cuore sobbalza. Voglio capire perché, ho 20 minuti prima del sound check per provarci.

Giorgio, benvenuto a Lugano.

«È la seconda volta che ci vengo, la trovo meravigliosa. Mi ci vorrei fermare qualche giorno in più e viverla un po'. E poi ho sempre in testa la stupenda canzone di Ivan Graziani "Lugano addio"».

I critici ti collocano nel genere pop e indie psichedelico, ma come definiresti la tua musica?
«Sono in difficoltà, il modo migliore per definirla credo sia farla ascoltare. Io scrivo canzoni pop, che durano 3 o 4 minuti con strofe e a volte dei ritornelli. Sì, mi definisco un cantatore di musica pop e un musicista»

Scrivi, suoni, canti. Perché?
«Forse per mettere ordine nella mia percezione delle cose. E anche perché mi diverto a scrivere e a suonare, è una passione che è nata fin da bambino. Prima è nata la passione per la chitarra. Poi col tempo, amando così tanto la musica che ascoltavo, mi è venuta voglia di scrivere la mia».

Nato a Novara 39 anni fa, sei cresciuto a Roma e hai vissuto a Berlino e a Londra. Se non fossi Giorgio, cosa ti piacerebbe essere?
«Mi piacerebbe essere un albero enorme. Uno di quelli che sta lì da centinaia di anni e che ha avuto la storia intorno a sè. Ma è rimasto sempre lì e, se è stato fortunato, ha potuto ignorarla».

Cosa sono le "schegge", che danno il nome al tuo album?
«Siamo noi. È tutto quello che esiste: c'è stato il Big Bang e lì è esploso tutto: siamo dentro una gigantesca esplosione. Mentre esplodiamo ci succedono delle cose: le nostre vite si intrecciano, incontriamo delle persone, le salutiamo, ci sono degli incontri e degli addii. E questi elementi che incrociamo sono altre schegge che volano anche loro».

Sei tornato a Roma dopo la fine di una lunga relazione, questo dolore nell'album si sente.
«Sicuramente c'è, perché è stato un allontanamento, dopo molti anni. La persona con cui si sta per molto tempo diventa riferimento, famiglia, amica. È difficile allontanarsi, bisogna sempre un po' poi conoscersi di nuovo e trovare la propria forza».

In cosa l'hai trovata?
«Direi che scrivere canzoni, avere uno spazio mentale ed emotivo dove esprimere quello che sento è stato di grande aiuto».

Così è nato il singolo "Un aggettivo, un verbo, una parola". Il tuo "scrivimi...", risuona come il desiderio di sentire ancora chi non è più con te.
«Sì. L'ho scritta pochissimo dopo, parla esattamente di questo. È un desiderio di contatto».

Sei tornato a cercarla?
«No. Era più un richiamo, un grido verso l'altro, verso il passato che si è salutato. Si vuole rimanere in contatto con il passato, con le cose a cui siamo legati e le persone a cui vogliamo bene. Perderle è doloroso ma la mia speranza è sempre quella di non perderle mai completamente, perché rimangono nella mia vita o, se non è possibile vedersi, nella mia personalità, nella mia essenza».

Dopo poco tempo, è arrivata anche la perdita di tuo papà.
«È successo tutto nel giro di pochi mesi. È stato particolarmente faticoso e difficile. Però a volte le cose belle o brutte accadono tutte inseme. Bisogna semplicemente accettare quello che capita. Io sento sempre una luce accesa dentro me, non si spegne mai. Mi spaventerei se non la sentissi più. Anche nelle difficoltà più grandi l'ho sempre sentita».

E cos'è questa luce?
«È un desiderio di vita, credo. È un entusiasmo che alla fine non mi abbandona quasi mai. Magari in qualche momento diventa fioca, ma la sento che comunque è lì. È la mia vita, è il mio desiderio di vivere e di essere felice».

A proposito di sentimenti, in "Uomini contro insetti" ti scusi perché "le canzoni sono sempre ridicole", è davvero così?
«Rispetto alla vita, le canzoni sono sempre un po' una romanticizzazione, quasi una messa in scena di quello che si prova veramente. È uno spettacolo e si decide di dare un certo taglio a quello di cui si parla. L'arte è sempre un po' una messinscena di sentimenti reali: è sincera ma è artefatta per definizione».

Scusa se insisto, ma perché scusarti?
«Forse sì, è un mio modo essere. Sentirmi sempre un po'... come se quello che io sento possa deludere o ferire. Questo vale nelle relazioni, nel rapporto con gli altri. Però non si deve aver paura di deludere, perché se si ha paura di deludere si è meno liberi di essere sinceri».

A un passo dall'estate, racconti di vacanze in splendidi resort, "dove tu non sei tu".
«È un'immagine legata alla necessità di mettere in pausa la propria vita per andare da qualche parte, astrarsi, essere un'altra persona per una settimana, andare lontano e sentirsi diversi».

Succede anche a te?
«È una a sensazione che io raramente provo, perché non desidero mai veramente una pausa dalla mia vita e dal mio lavoro. In questo sono molto fortunato, per me la musica non è un lavoro, non c'è un sacrificio».

Per la maggior parte delle persone non è così.
«Dipende anche da come sono costruite le nostre città: a misura di turista e non di abitante. Così ognuno se ne deve andare da un'altra parte per stare comodo, per trovare quello che cerca. Allora quasi siamo costretti ad andare in vacanza, ma io non ci voglio andare in vacanza».

Da settimane sei su tutte le principali radio e a Lugano chiudi un tour europeo di successo. Resti però un cantante di nicchia che non vuole "niente di speciale", "niente da rincorrere o evitare", a quando il successo?
«È un problema che non mi sono mai posto. Quando ho iniziato a suonare e a scrivere non ho mai sognato di cantare in uno stadio o di essere riconosciuto o famoso. Anzi un po' mi spaventa. Sembrerebbe un limite alla propria libertà».

C'è un però?

«È anche vero che a me piace scrivere, suonare, cantare e comunicare, e l'idea di farlo con tante più persone possibile mi piace. Ma l'essere famoso potrebbe quasi essere un effetto collaterale di questo desiderio».

La chiacchierata con Giorgio termina così, con il tour manager che ci richiama all'ordine, perché il sound check incombe. Il traffico di Lugano è dimenticato, mentre mi accorgo che avrei voluto chiedere molte più cose. Ma in fondo va bene così, del resto le domande "sono sempre ridicole, scusate, lo so".

L'album e il tour.
Il quarto album di inediti di Girgio Poi "Schegge" - Bomba Dischi/Sony Music - è uscito il 2 maggio. Dopo le date all'estero, il tour prosegue in Italia (prossima data: Milano, 24 maggio). Per elenco completo, info e prevendite vai su dnaconcerti.it. Ad accompagnare Giorgio Poi sul palco, Matteo Domenichelli al basso, Francesco Aprili alla batteria, Benjamin Ventura alle tastiere.

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