I Cor Veleno saranno in scena venerdì al Foce. Con Grandi Numeri abbiamo parlato della scena di oggi, di Primo Brown... e anche di Sanremo
LUGANO - Il fuoco sacro dell'Hip Hop fa tappa a Lugano. Venerdì prossimo, 14 marzo, al Foce arrivano i Cor Veleno. E noi abbiamo colto l'occasione per scambiare qualche parola con Grandi Numeri, che con Squarta e Gabbo compone la storica crew romana. Già al lavoro sul prossimo futuro. «Nei prossimi mesi usciranno già dei brani nuovi», ci confida quando lo raggiungiamo al telefono, strappandolo per qualche minuto alla sessione in corso in studio.
“Fuoco sacro” è fuori da quasi un anno, l'ideale per fare un bilancio. In cuffia, lo sappiamo, suona che è una favola. L’esame vero però, si sa, è quello del palco... Esame superato?
«Devo dire di sì. Il live, avendo tutti quegli agganci che per noi sono fondamentali quando si tratta di portare la musica dal vivo - tra le visual e le impostazioni sul palco, con Gabbo al basso e Squarta alle macchine - è abbastanza fuori dagli schemi. Nel senso che non ha quell'idea di Hip Hop troppo consolidata ma riesce a portare nuova linfa. Per portarlo dal vivo abbiamo fatto un sacco di lavoro, abbiamo studiato molto e siamo felici di poterlo ribadire: "Fuoco sacro" è un grande spettacolo e non solo un grande disco».
Del "fuoco sacro" dell’Hip Hop siete sempre stati fieri portatori, fin da quando in Italia questa cultura era una nicchia. Oggi la scena è diventata grande. I piani alti delle classifiche, i sold out nei palazzetti, gli stadi. Ma quel fuoco sacro? Lo vedi anche nelle nuove generazioni?
«Personalmente, abbastanza. Non è plausibile, e non sarebbe nemmeno logico che le stesse cose che hanno dato il la alla scena negli anni '90 e agli inizi dei 2000 siano riverberate precise, per filo e per segno, anche nelle cose che vedo oggi. Perché ogni generazione ha i suoi input. Quindi mi capita di confrontarmi con tantissimi artisti della nuova scena - e della nuovissima scena - e di vedere che la passione per questo, che è il suono da cui proveniamo tutti, è pressoché intatta. Poi è ovvio: per ogni nuova generazione subentrano nuove tecnologie, nuovi codici. Quindi è normale che il tutto non sia identico a quello di prima. Ma è l'essenza quello che conta. La performance. E il percorso creativo che c'è dietro è assolutamente vivo».
Restando per un attimo ancora sul disco e sul discorso "nuove generazioni", non posso non chiederti qualcosa su “Finale Chimico”. Con Ele A ho chiacchierato qualche mese fa, parlando anche di voi. Come nasce quella collaborazione?
«È proprio come dicevamo poco fa. Quando dall'altra parte vedi che c'è una ragazza che ha tante cose da dire; con una veemenza che è identica a quella che mette sul palco e nelle jam... Ecco, c'è un fascino quasi irresistibile che ti porta a coinvolgere artisti come lei e come tanti altri che sono nell'album. Un po' come in fondo abbiamo sempre fatto nei nostri dischi, con contatti che avvengono più per il piacere di fare musica che per la "convenienza discografica". E lei è una grande artista, con una gran bella testa».
Con voi, nell'album, c’è anche Primo. E non si tratta di mere apparizioni. Si sente che c’è un senso nei pezzi e che c’è tanto cuore nel modo in cui è stato utilizzato il suo materiale. È come se le avesse registrate lì… Quanto è delicato il mettere mano sulla voce di chi non c'è più?
«Beh, intanto se parliamo di Primo parliamo di un puro sangue, un cavallo di razza della scrittura dell'Hip Hop italiano. Non lo dico perché sono di parte, ma per me è il più grande che ci sia mai stato. Effettivamente quindi non è un compito semplice... Però se poi ti lasci guidare dalla musica e vivi l'esperienza stessa del processo creativo, dove c'è una strofa che è coerente con quello che è il brano che viene realizzato, ci sono tanti elementi che poi vanno a comporre il mosaico perfetto. Lavori sul groove, lavori su delle rime e su dei concetti che alla fine sono molto più forti dell'assenza stessa».
Tra le barre del disco su cui oggi è d’obbligo fermarsi, c’è poi quella di Fibra in “Pallottole sull’amore”, quando dice: “Tieniti Sanremo, noi Luca Carboni”... Ecco, proprio quest’anno, su un palco storicamente “ostile” come quello dell’Ariston, il rap ha lasciato un’impronta come mai aveva fatto prima. Qualcosa che, anche solo pochi anni fa, sembrava impensabile...
«Ti dico, io non ho mai visto Sanremo con un nemico. Ed è assolutamente sbagliato pensare qualcosa del genere. Anche perché è lì che si celebra la musica maggiore del panorama italiano. Anche molti artisti che vengono dall'Hip Hop hanno potuto avere l'opportunità di poterci andare. Come ospiti, come artisti in gara. E in quella rima di Fibra io sento tantissimo la nostra generazione, che è cresciuta alternativa a quello che era prima Sanremo. Dove artisti come Luca Carboni erano sì pop, ma già allora avevano tutto un altro coraggio. Un altro tipo di scrittura che lo rendevano "fresco" anche per noi che venivamo dall'Hip Hop».
E quella di quest'anno è a tutti gli effetti una piccola vittoria per questa cultura...
«Certo. Ma anche l'Hip Hop in America se ci si pensa... È vero che si rifà a situazioni di estrazioni diverse, che siano marginali o meno. Ma come musica attinge sempre a quello che è l'immaginario "pop", inteso come cultura di massa. Se sento un brano di Kendrick Lamar ci posso trovare probabilmente riferimenti al Saturday Night Live, o all'NFL piuttosto che l'NBA, proprio come potrebbero essere il calcio o Sanremo qua in Italia. E questi elementi non sono avulsi dalla scrittura. Perché anche nell'Hip Hop un artista scrive di quello che vede, di quello che recepisce attorno a sé, e lo fa diventare qualcosa di nuovo. Veste quegli abiti per una frazione di secondo, per farci una punchline e stravolgere quello che la gente ha acquisito e considera scontato di quella cosa. E questo è sempre stato bello, perché anche artisti come Eminem, quindi su scala mondiale, sono riusciti a prendere delle hit di Britney Spears e farle diventare qualcosa d'altro».
Per concludere, il 14 marzo sarete sul palco del Foce a Lugano. Data che coincide quasi perfettamente con l’anniversario del disco. Sarà, come si è letto, un vero "block party"?
«Lo sarà. Il pubblico che ho sempre trovato in Svizzera è quello più solare. Quelli che si godono di più la musica e il fatto che sia accessibile anche con la sua faccia più "cruda", nel suo aspetto più aggressivo. In tante altre scene italiane, l'Hip Hop è un po' il frutto di quello che è la regione. In Svizzera invece ho sempre visto che non ci sono questi filtri culturali, ma viene recepito il rap italiano in toto. E a me piace tantissimo questa cosa. E soprattutto la parte più "underground" è sempre stata più che amata. Quindi saremo lì per fare festa con tutto il movimento».