
Ray Chen - violinista, imprenditore e star dei social - giovedì in scena al Lac: «Le AI? Non mi fanno paura, non sanno cosa sia l'emozione».
LUGANO - Appoggiato sul grande tavolo al centro della sala in cui lo incontriamo, fa comunque una certa impressione: «Ha una sua aura, vero?», sorride Ray Chen violinista sopraffino, imprenditore e anche star di Instagram che questo giovedì si esibirà al Lac insieme all'Orchestra della Svizzera italiana (OSI), con la quale partirà poi in tournée. Sul palco della Sala Teatro porterà Čajkovskij (“Concerto per violino”) e Schubert (“Incompiuta”).
Quello di cui stiamo parlando è il suo violino Stradivari, Delfino, uno strumento senza prezzo ma che se proprio glielo si volesse dare (chiediamo a Google, nel dubbio) si aggirerebbe attorno ai 4 milioni di franchi.
Non possiamo non domandarglielo: ma com'è viaggiare e vivere la quotidianità fondamentalmente con una villa nella custodia?
«Fa una certa impressione lo ammetto, è stato costruito da Stradivari nel 1714 ed è appartenuto a una leggenda del violino, Jascha Heifetz. All'inizio ero molto intimidito dopo un po' però ci si abitua e diventa una fonte inesauribile d'ispirazione».
...ma anche di preoccupazione?
«Soprattutto viaggiare è piuttosto da pelle d'oca (ride), ho sempre paura che al check-in vogliano controllarlo e aprire la custodia... devo dire che fino ad ora è sempre andata piuttosto bene. Qualche volta però mi è capitato di prendere un biglietto in più per lui, soprattutto quando volavo con le compagnie aeree più a buon mercato».
Suonare uno Stradivari è di per sé un traguardo, ma non è l'unico nella tua carriera. Come è nata la passione per il violino?
«Sono cresciuto a Brisbane, i miei non erano musicisti ma volevano che io e mia sorella completassimo la nostra educazione imparando uno strumento. La nostra è più o meno la tipica storia di una famiglia di migranti asiatici (i Chen sono originari di Taipei, ndr.).
In casa avevamo anche un pianoforte ma quando ero piccolo mi sembrava una mostruosità enorme, il violino invece era della dimensione giusta e poi crescendo - e diventando più bravi - si passava a uno strumento più grande. Una sorta di “level-up” molto gratificante (ride). Possiamo dire che è stato un amore a prima vista».
Non sei solo un virtuoso, ma anche un imprenditore (ne parliamo fra poco) e una star dei social media da più di un milione di follower. Come si coniugano queste tre nature? Dove trovi il tempo? Ti alzi ogni mattino alle quattro?
«(ride) Beh, di sicuro ci vuole molta disciplina per riuscire a “performare” bene in tutte queste aree. Ci vuole impegno, costanza ma sicuramente anche molta passione. Penso che qualcosa sia scattato in me proprio durante la pandemia da Covid, in quel momento mi sono messo in discussione: “Perché, e per chi, sto facendo tutto questo?”.
Alla fine ho trovato la risposta nella gente, in tutta la gente che mi viene a sentire, in tutta la gente che ascolta la musica e non solo la mia. Volevo farlo per loro, volevo fare la differenza e fare del bene attraverso a quello che sapevo fare».
Durante quel periodo, ci hai accennato, hai anche concepito la tua app Tonic...
«Sì, ho voluto far incontrare gli aspiranti musicisti e chi ama ascoltare la musica. Con Tonic, fondamentalmente, si possono trasmettere le proprie prove strumentali in streaming in modo che altri le possano sentire, magari commentando o incitandosi.
È stata un po' una sfida perché di solito chi sta imparando a suonare non vuole farsi ascoltare - dicono: «Ma come, sei matto! Con tutti gli sbagli che faccio!» - ma in realtà io credo che sia un passo fondamentale, ogni volta che si “streama” una prova si fa un passo verso la performance dal vivo e si abbatte un po' di ansia da palcoscenico. L'idea ha funzionato, anche perché si tratta di una comunità di “pari” accomunati dalla voglia di imparare a suonare.
Creare una comunità come questa, che al momento conta circa 250mila persone su 125 Paesi, è stata una grandissima soddisfazione».
Sul palco del Lac porti il Concerto di Čajkovski che è noto per le sue parti intricatissime, soprattutto per il violino...
«Nella musica di Čajkovski c'è sicuramente molta bellezza ma è vero che si tratta di pezzi decisamente complessi ma malgrado ciò riescono a rimanere molto evocativi. Attraverso la musica sembra un po' di intraprendere un viaggio che porta fra le vallate e le montagne.
E poi ha quell'anda ritmica in grado di prendere chiunque, anche un bimbo, d'altronde, era un gran compositore di balletti (il “Lago dei Cigni”, lo “Schiaccianoci”, su tutti). Resta una musica in grado di veicolare tantissime emozioni complesse e direi... nobili».
Mi sembra che il lavoro che fai sulla componente emotiva delle note, e delle armonie, sia molto importante per il tuo modo di suonare.
«Per quanto mi riguarda il fatto di dare un significato a ogni nota che suono è piuttosto scontato per un musicista. Si parla tanto di intelligenza artificiale e di musica fatta con l'intelligenza artificiale e della minaccia che rappresenta per il lavoro di tanti strumentisti. A essere onesto, credo che l'emozione - quella cosa che unisce chi suona a chi lo ascolta - soprattutto dal vivo non possa essere replicata da nessuna tecnologia».