Cammariere e dintorni: «Indago i sentimenti e mi dono agli altri, è la mia missione spirituale». Sarà al Teatro di Locarno il 1 febbraio
LOCARNO - Un cantautore libero, proprio come il suo secondo nome, che gli venne messo - ha raccontato - perché il padrino di battesimo era un fervente democristiano e osservante del monito "Libertas" che appariva sullo stemma del partito. Ma la libertà se l'è sempre conquistata da solo, ci tiene a dirlo.
Lui, Sergio Libero Cammariere, in concerto al Teatro di Locarno il prossimo 1 febbraio alle ore 20:30 (unica data in Svizzera e prevendite disponibili su biglietteria.ch), è cantautore di raffinata fattura, uno con i "guanti" nel trattare la composizione musicale e l'esplorazione dei sentimenti, scrivendo con l'amico paroliere Roberto Kunstler pezzi come "Tutto quello che un uomo", "Dalla pace del mare lontano", "Sorella mia", "L'amore non si spiega" entrati nel cuore del pubblico e che troveranno spazio anche nello spettacolo "piano solo" (con special guest Giovanna Famulari al violoncello) di Locarno.
Oltre che per i tuoi ricordi legati ai concerti che hai tenuto in passato in Canton Ticino, immagino che nel ritornare in Svizzera tu non possa non ripensare a quando per la prima volta hai ascoltato la reinterpretazione più illustre del tuo celebre pezzo "Tutto quello che un uomo", a opera della grande Mina che vive a Lugano. Vi siete sentiti? O comunque, avete un rapporto "epistolare" moderno attraverso WhatsApp?
«Con i suoi collaboratori sì, con lei direttamente no. Però per me è stata una grande felicità, un premio alla carriera sentire cantare da lei una mia canzone. Proprio ieri mi ha chiamato una mia amica che era in una libreria di Milano e mi ha fatto sentire che c'era in sottofondo proprio il pezzo "Tutto quello che un uomo", cantato da Mina».
Che effetto ti fa sentire cantare in maniera diversa, da come lo interpreti tu, un tuo pezzo?
«Guarda, se vai su YouTube e cerchi "Tutto quello che un uomo" escono fuori qualcosa come dieci o quindicimila cover: chi la fa col sax, chi la fa col flauto, uomini che cantano, donne che la interpretano. Adesso che la più grande cantante italiana riconosciuta nel mondo ci ha messo il suo timbro, in tutti i sensi, posso stare tranquillo. Lei ha messo tutti a tacere. E io mi godo il sapore della felicità».
A Locarno porti uno spettacolo acustico: sarai tu e il tuo pianoforte e il prezioso apporto di Giovanna Famulari. Quali sono i vantaggi per un pianista quando si "libera" del substrato sonoro di una band?
«A me piace molto questo concerto e sai perché? Perché si sentono le dinamiche, che a volte sfuggono quando c'è la band intera. E allora ecco che in uno spettacolo come questo tornano a sentirsi i piani e poi i fortissimi. Il tutto all'interno di un concerto molto delicato, intimo».
La tua storia è quella di un sognatore partito dal Mezzogiorno d'Italia con l'idea di fare quello che poi è accaduto: il musicista. I diari di molti artisti diventati poi noti sono pieni di riferimenti alle famose porte chiuse. Quante ne hai trovate di questo genere?
«Il percorso non è stato semplice. Da quando a 7 anni suonavo già l'Ave Maria di Schubert al momento della popolarità ne sono passati di momenti di vita anche difficili. Mi barcamenavo tra il teatro, lo scrivere canzoni e il cinema perché il mio esordio come cantautore è corso in parallelo proprio con quello di compositore di cinema. Anzi, la mia prima colonna sonora, per il film "Quando eravamo repressi" di Pino Quartullo, è arrivata un anno prima del mio primo disco da cantautore che mi consentì di cominciare a fare parte di quella che veniva definita la nuova scuola romana e di suonare finalmente i miei pezzi nei locali della capitale».
Venti colonne sonore per film anche importanti, come "La grande abbuffata" di Calopresti e "La quattordicesima domenica del tempo ordinario" del maestro Pupi Avati: come è nata la collaborazione con il grande regista bolognese?
«Ci eravamo incontrati qualche anno fa e poi mi ha telefonato un giorno perché cercava una canzone che diventasse il tema del film. Pupi è un musicista, quindi aveva le idee chiarissime su cosa mi stesse chiedendo. Doveva essere una canzone che avesse un tipo di arrangiamento orchestrale anni Quaranta-Cinquanta e mi portava dei riferimenti. Io scrissi il pezzo leggendo la sceneggiatura, poi il suo compositore di fiducia che è Gregoretti ha scritto tutte le parti di archi che hanno dato un vestito appunto anni '50 alla mia canzone. Da Pupi ho respirato la saggezza dell'uomo che ha tracciato una strada e ho documentato tutti i nostri incontri, perché io riprendo la mia vita da oltre 30 anni e non potevo certo non filmare un incontro così importante».
Torniamo al Cammariere cantautore: stai lavorando a un nuovo album. Si distacca o segue le orme del precedente lavoro "Una sola giornata" con la raffinata commistione di generi come jazz e ritmi sudamericani per esempio?
«Non ci si distacca molto. Sarà un disco con l'orchestra d'archi e per quel che riguarda le tematiche vi sono sempre indagini dei sentimenti, amore, spiritualità».
Che rapporto hai con quest'ultima e che idea ti sei fatto della vita?
«Siamo ospiti su questa terra e dobbiamo avere rispetto della natura, conservarla per le future generazioni. Questo è un aspetto spirituale, se vuoi, al di là del credente, della fede in generale; come spirituale è l'essere in comunione con la musica. Nel mio quotidiano sono sempre insieme a lei, passo le mie giornate interamente immerso nella musica, facendola o ascoltandola per percepire in profondità le lezioni dei nostri maestri. Questo dà un senso al mio esistere e mette a tacere magari eventuali paure, eventuali pensieri angoscianti. Ognuno ha la sua religione, ognuno ha i suoi libri, ma sentirsi giusti di fronte agli altri esseri umani e darsi all'altro è una sorta di missione spirituale cui mi preoccupo sempre di tendere».