Esce "Se un guru", il nuovo singolo dei Monte Mai che precede l'album del 2025: «Un brano surrealista e critico verso la società di oggi»
LUGANO - C'è pop e pop. Ma se pensate a quello che nell'accezione corrente vi passa (ma soprattutto vi suona) davanti tutti i giorni, allora siete sulla strada sbagliata. Quello dei Monte Mai ha il campo base su altre "altitudini" musicali. Basta sentire il nuovo singolo in uscita oggi: si intitola "Se un guru" ed è un viaggio sonoro di elettronica "mistica" che ricopre completamente il racconto fantastico-surrealista condotto dalla voce onirica di Anaïs Schmidt. Ne abbiamo parlato con Fabio Besomi, compositore e bassista di Monte Mai.
Un pezzo quasi esoterico, dove la musica risucchia le parole qui ridotte ai minimi termini e il testo arretra trasportato in un altra dimensione. La psichedelia assolve anche in questo caso alla sua funzione e cioè a generare un tipo di evocazioni che non ha bisogno di troppi termini?
«La psichedelia è un po' parte del processo di strutturazione del pezzo, che è una commistione di questo utilizzo surreale delle liriche con il suono che qui è centrale. Ne esce un piccolo mantra musicale esoterico-esotico con l'utilizzo di queste voci così urlanti, con i flauti, versi vari di animali, dove come un pò un ricoprente cosmetico le parole stanno sotto e sono centellinate per essere funzionali alla musica. Ti confesso che la linea vocale è nata anche scimmiottando qualcosa in giapponese con delle parole inventate che poi abbiamo trasformato in italiano».
Agli albori di un neolingua? Avrebbe fatto piacere a Umberto Eco?
«Grandissimo Eco! Ho appena letto stamattina Tre bustine di Minerva. Lo leggo ogni tanto. Anche Flaiano usava coniare termini, intrecciare le lingue».
Torniano al nuovo singolo: "Se un guru vuoi...vieni qua", canta Anaïs: è l'affermazione di chi vuole spodestare il santone di turno? Da quelli che vanno in giro con l'aura mistica all'ultimo life-coach? O lo siamo tutti un po' santoni e comunque corriamo il rischio di esserlo chiusi ogni volta dentro la torre delle nostre piccole convinzioni?
«Allora...fa piacere sentire quello che tu pensi e quello che tu hai percepito. È interessante che la gente interpreti a suo modo quello che ci trova attraverso il proprio mondo interiore. In effetti però c'è in qualche modo una critica. «No» a tutto questo no, a chi la fa più lunga e a chi predica. Sì, c'è un po' una critica a questo tipo di società che ci impone delle cose e tutti siamo lì un po' così ad attendere che qualcuno ci istruisca sulla nuova via da seguire, no? Che poi è una non-via, una cosa spesso superficiale. Quindi dentro alle parole che hai citato c'è sicuramente una critica a questo tipo di società che ci ritroviamo».
Anaïs con le sue inclinazioni tonali dà voce al sogno: cosa ci vuole dire?
«È un po' una sua cifra questa dell'essere un po' onirica anche come persona. Lei, dei tre, è la meno scienziata. Anaïs ha questa capacità molto incontaminata di riuscire a fregarsene di metrica ritmica e sistemi modali e buttare dentro su una base ritmica delle melodie che risultano sempre molto estemporanee e fresche. In fondo, secondo me, anche le urla così sono un po' in linea con questo suo modo di vivere la vita in modo onirico e totalmente spontaneo. Quello che sentiamo nella canzone, certi versi sono proprio qualcosa di suo, usciti in quel momento e che aveva bisogno di esorcizzare. E noi l'abbiamo lasciata un po' sfogare».
Parlate, dovendo racchiudere in un genere il sound di questo singolo, di pop orientale sofisticato: quello occidentale perde pezzi?
«No, non credo. È un riferimento puramente estetico. Io sono un po' un musicofilo. Oltre a essere musicista sono un collezionista, quindi ho un sacco di dischi e questa musica mi ricordava un po' cose tipo Pizzicato Five, quel pop giapponese un po' esportato negli anni 2000-2010. Ma secondo me si deve intendere il pop come una visione, come la intendeva Andy Warhol. Lui ci insegna: ha reso la cosa popolare arte. Quindi va cercato su quel fronte. Insomma, io vedo il pop un po' ovunque, ce lo trovo anche nella musica di Stravinsky, nel punk più estremo. Il pop è secondo me una commistione, con una melodia anche magari come dire poco percettibile. Cioè, non classificherei il pop come Taylor Swift, ecco».
Con Fabio Pinto e la già citata Anaïs Schmidt sarete in tour dopo l'uscita dell'album che avverrà il 21 marzo: suonerete oltre che in Svizzera anche in Italia, Germania, Repubblica Ceca, Francia, Belgio e Paesi Bassi. Il pubblico dell'Europa del Nord ha una sensibilità musicale più marcata e più propensa a seguire le orme della vostra Art Pop psichedelica e le sperimentazioni annesse?
«Hanno una cultura diversa, sono direi quasi vocati per certe ambientazioni sinistre, per dirla alla Simenon, che anche un pezzo come Se un guru evoca. In Italia per esempio adesso se non fai la trap, l'hip hop e tutto quello che è legato un po' ai nomi grossi di adesso di quelle etichette importanti milanesi soprattutto, sei un po' inferiore. Il mercato all'ottanta percento segue quello, i ragazzi ascoltano quello. All'indie e alla musica hip hop un po' laterale rimane un venti per cento, che ci si deve ritagliare appunto al nord dell'Europa. I ragazzi e le ragazze sono forse più sensibili alla musica un po' più laterale, come dicevo prima più avvezzi a quel pop un po' più sinistro come quello che facciamo noi».