Troppo successo può dare fastidio? Sì, se la tua “specialità” non ti permette di metterti in gioco (e vincere un Oscar).
AUSTIN - Bello, spigliato e autoironico Matthew McConaughey è stato per lungo tempo il re indiscusso delle commedie romantiche in quel di Hollywood.
Qualche esempio? È subito fatto: “Prima o poi mi sposo”, “Come farsi lasciare in 10 giorni”, “La rivolta delle ex” e “Tutti pazzi per l'oro”.
A un certo punto, però, il troppo stroppia: «Viaggiavo sulla mia “corsia di confort”, chiamiamola così», ha raccontato al tennista Nick Kyorgios nel podcast Good Trouble, «mi ci trovavo bene e pagava anche parecchio. Per me però era impossibile provare a fare qualcosa di diverso, appena ci provavo ricevevo una pioggia di no».
Da qui la decisione di partire per il Texas con la famiglia: «Non è stato facile, lo ammetto. Ho stretto un accordo con mia moglie che non saremo più tornati in California, a meno che non mi avessero offerto un ruolo che non fosse in una commedia romantica».
Se la Mecca del cinema avesse deciso di fare a meno di lui, le ipotesi per carriere alternative non mancavano: «Pensavo che avrei potuto fare l'insegnante di liceo, oppure il conducente di autobus o la guida naturalistica... ».
Per sua fortuna, e per più di un verso anche per la nostra, la mossa ha funzionato: «Probabilmente si sono detti: “Ca**o non sta affatto bluffando“. E così sono arrivate le parti di ruoli che avrei voluto fare», ha aggiunto l'attore che nel 2013 riceverà l'Oscar per il film drammatico “Dallas Buyers Club”, «il diavolo non sta nei “no” ma nei “sì” infiniti, a volte è importante dire “no”».