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LUGANOCon l'Italia "in tasca", Ele A fa ritorno a casa

13.11.24 - 06:30
Tra presente e futuro, una chiacchierata con la giovane rapper luganese in attesa del gran finale del suo "Acqua Tour" allo Studio Foce
foto: Samuele Mersi
Con l'Italia "in tasca", Ele A fa ritorno a casa
Tra presente e futuro, una chiacchierata con la giovane rapper luganese in attesa del gran finale del suo "Acqua Tour" allo Studio Foce

LUGANO - Il suo è un rap che se ne frega dei carati in bella vista sul polso. Che predilige l'Acqua a bottiglie ben più costose. Ele A - al secolo Eleonora Antognini, classe 2002 - ormai si è staccata di dosso l'etichetta di "promessa". La giovane rapper ticinese ha portato un'onda di freschezza nella scena Hip Hop italiana. Con lei abbiamo scambiato qualche parola tra gli ultimi due anni; i live - «la cosa più bella in assoluto per me» -; «qualche para» in vista del prossimo 23 novembre (data in cui concluderà il suo "Acqua Tour" sul palco dello Studio Foce di Lugano) e un po' di spoiler su quello che arriverà dopo.

Ele, tu sei una splendida “anomalia”. Parti dal Ticino e a suon di rime e stile arrivano in poco tempo successo, consensi e soprattutto il rispetto da un mondo che, tradizionalmente, è sempre stato anche molto maschilista. E in tutto ciò, a chi ti guarda da fuori fai sembrare tutto facile. Ma è stato davvero così?
«Sai, quando ti prendi per l’Hip Hop, un po’ come per tutte le passioni, non puoi fare finta di niente. Quindi alla fine, per me sarebbe stato molto più difficile non fare nulla... Concludi il liceo, ti ritrovi a un bivio, non sai bene cosa fare e a quel punto mi sono detta: “Preferisco rischiare, e magari fallire, piuttosto che andare a fare un lavoro che non mi piace”. Quando hai una passione così “ingombrante” è più facile. Anche i sacrifici ti vengono spontanei, perché l’amore per questa cultura è superiore a tutto il resto».

E la scelta ha pagato. Perché, oltre ai tuoi primi progetti, hai già “a curriculum” anche diverse collaborazioni con vere istituzioni del rap italiano. Cor Veleno, Shocca, Guè. C’è stato un momento in cui ti sei detta: “Sì, questa cosa sta andando bene”?
«Guarda, io in genere sono molto, diciamo, “pessimista”. Quindi mi capita molto raramente di darmi le pacche sulla spalla da sola. Sono molto autocritica. Poi in questo periodo storico è molto facile fare paragoni. E dato che tutto corre, a me sembra sempre di essere in ritardo. Sicuramente il feat con Shocca e Guè è stato un passo importante, perché come dicevi non è per niente scontato ricevere il consenso da due colossi del rap. E per me è stato davvero un onore. Non avrei mai pensato in vita mia di ottenere una cosa del genere. Però ti dico, la cosa che forse mi ha fatto dire: “Ok, ha senso tutto quello che sto facendo” è il tour. Per la prima volta sono davanti al mio pubblico. Spesso mi fermo a parlare con tutti dopo i live. E vedere quello che è capace di fare la musica, la gente che canta le mie canzoni, parola per parola, magari anche dei freestyle usciti mille anni fa, mi riempie tantissimo. È una grandissima soddisfazione».

Ecco, parlando delle tue canzoni, cito una frase da “Oceano”. “Il mondo è cieco e, no, non guarda te”. Trovo che sia un prezioso consiglio, quasi rassicurante. Detto questo, la fama quindi non ti piace più di tanto…
«No. In realtà io sono molto timida. Odio essere al centro dell’attenzione. E so che è strano da dire, perché uno potrebbe dirmi “allora scegliti un altro lavoro!”. Però la “notorietà”, secondo me, non è mai qualcosa che uno cerca. È sempre una conseguenza di quanta passione metti nelle cose, ma non è qualcosa che si va a ricercare. Alla fine credo che la maggior parte della gente che fa musica lo fa solo perché ama la musica. Per dire, ai tempi in cui i miei video avevano tre views, di cui una mia (ride, ndr.), lo facevo comunque perché andava fatto. Tornando al punto: è vero, non mi piace. Non mi piace essere al centro dell’attenzione. Per niente».

Tra i grandi nomi che ti hanno riconosciuto c’è anche quello di Neffa. A suo tempo, ti ha definito una rivoluzionaria. È qualcosa in cui ti riconosci?
«Premetto che sono chiaramente onorata dalle sue parole, perché lui sì è un rivoluzionario. Detto da lui è quindi qualcosa che mi fa veramente onore. Poi, come dicevo prima - e credo sia una caratteristica molto ticinese -, non è che io mi dica da sola “grande!”. Quindi faccio sempre un po’ fatica anche ad accettare i complimenti. In realtà quindi non mi percepisco così, anche perché prendo tanta ispirazione da cose che già sono esistite e che poi vengono rilette in una chiave più attuale e, chiaramente, unica in quanto sono io a farla. Non mi definirei quindi rivoluzionaria. Ma spero di esserlo. Adesso, progetto dopo progetto, sto cercando di integrare sempre più sfaccettature di me. Perché credo che quando un artista arriva a esprimersi veramente al cento percento diventa per forza rivoluzionario. Perché per la prima volta esprime il suo punto di vista a trecentosessanta gradi».

Torniamo un attimo alle origini. Lugano. L’hai sempre legata a doppio filo a quella “noia” che però è stata fondamentale per te. Per la creatività. Come a dire che un foglio bianco fa paura solo se non hai pennello e colori… Credi che nascendo in una realtà più vivace e coinvolgente avresti seguito un percorso diverso?
«Sicuramente sì. Avrei iniziato molto prima. Alla fine non è colpa di Lugano, è così un po’ in tutte le realtà più piccole: il giudizio degli altri pesa molto di più. Secondo me quello è molto determinante agli inizi, perché devi arrivare al punto in cui ti dici “Basta, devo fare questa cosa e non me ne frega niente del giudizio altrui”. E poi sì, la noia mi ha stimolato tantissimo. Credo che in una realtà più colma di input, più “satura”, non avrei forse cercato determinate cose. Alla fine, soprattutto nel rap, c’è un fortissimo senso di appartenenza. E di conseguenza il luogo in cui uno nasce lo puoi davvero ritrovare ovunque. In ogni rima, in ogni concetto».

L’appartenenza. Restiamo un attimo sulla forza di questo legame. In passato avevi detto di amare la città soprattutto quando te ne vai e poi torni. È ancora così? Ed è per questo che hai deciso di concludere il tour proprio a Lugano o è un caso?
«No, non è stato un caso. Abbiamo deciso di fare l’ultima data qui perché io ho sempre fatto un po’ fatica a percepire com’è il pubblico di Luga. E poi, fare il Foce non è facile, perché non puoi mai prevedere come andrà. Ci sono artisti molto grandi che in Foce richiamano poca gente e viceversa. Quindi ero un po’ titubante. Poi però il mio manager mi ha "obbligato" (ride, ndr.). E per me è un po’ la chiusura del cerchio, perché il primo live serio l’ho fatto lì. E mai avrei pensato, in così poco tempo, di riuscire a farci una data mia. Sono davvero contenta. Il rapporto con la città invece è un po’ cambiato, perché vivere per due anni a Milano mi è bastato per capire quanto amo Lugano».

E dopo il tour? Cosa farà Ele A nel 2025?
«Stiamo già lavorando all’album. Stiamo facendo un sacco di cose. E sono contenta perché stiamo andando molto più veloci rispetto agli scorsi progetti, perché il fatto di essere in tour ti dà tante ispirazioni. Incontri un sacco di persone, vedi posti nuovi. E sto cercando di sfruttare al meglio questo periodo di pienezza. Quindi uscirà un album, si spera... Non so ancora quando, ma speriamo il prima possibile».

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