Il regista Ettore Bassi e l'attrice Deborah Innotta presentano l'opera "Dio come ti amo"
LOCARNO - Un rapporto sempre più incrinato, quello tra uomini e donne. È il presupposto, il punto di partenza dell'opera "Dio come ti amo" del noto regista e attore italiano Ettore Bassi e dell'attrice Deborah Iannotta, in programma il prossimo 29 settembre al teatro Kursaal di Locarno. Entrambi raccontano di una relazione "inquinata", allontanandosi dalla narrativa che dipinge gli uomini come "mostri violenti" e le donne come "prede inermi" per permettere a loro stessi e al pubblico di comprendere come e quando, qualcosa, all'interno di questo rapporto, è andato terribilmente storto. Ecco quello che ci hanno raccontato.
Lo spettacolo esplora la traiettoria storica della relazione tra uomini e donne, che come affermate si è «incrinata». Parliamo di questo fenomeno, come lo vedete e come viene trattato all’interno dell'opera?
«Diciamo che è stato un lungo processo. Perché tutto nasce da un sogno, da un desiderio di affrontare questo tema in base alle nostre sensibilità individuali, allontanandosi dalla retorica spigolosa e in qualche modo scandita dal pensiero dominante. Il nostro bisogno era quello di affrontare il tema da una prospettiva alta. Abbiamo cercato le origini di questa relazione inquinata nelle scienze del comportamento e nei costumi del nostro Paese. In particolare a partire dall’ingresso dei pantaloni come indumento nel guardaroba delle donne. Da lì abbiamo evidenziato una serie di sviluppi, certamente molto positivi per quanto riguarda il ruolo della donna nella società, ma anche delle incongruenze nella loro vita quotidiana, che andiamo ad evidenziare».
Vi allontanate dunque dalla mitologia della donna “preda inerme” e dell’uomo “mostro violento”.
«È così. Proponiamo un’analisi che vede la donna come la colonna portante della società, una specie di regina dell’alveare. Il nostro assunto di partenza è l’esistenza di un movimento che ha sviluppato un meccanismo di attacco nei confronti della figura femminile. Così facendo la società si disgrega, e quindi la donna, con giusto e sacrosanto prospetto di un raggiungimento di un diritto come la parità di voto e di accesso al mercato del lavoro, non ha sviluppato la necessaria lucidità per impiegare queste conquiste».
E come si manifesta un pensiero del genere a livello pragmatico?
«L’uomo ha compiti specifici. Se io donna devo lavorare e produrre come un uomo, devo però anche assolvere i miei compiti specifici, che sono quelli di reggere una società, e quindi devo lavorare meno dell’uomo e guadagnare di più. Il tempo che rimane lo devo utilizzare per tenere in piedi una famiglia, una casa. Senza questo, la società si disgrega. E questo è stato il grande inganno in cui sono incappate anche le donne, che hanno poi focalizzato la loro attenzione sulla creazione di un’entità nemica, che è diventato l’uomo. Un'intelligentissima forma di manipolazione da cui vogliamo svegliare il nostro pubblico».
Abbiamo disegnato i contorni entro i quali si inserisce l’opera, ma l’opera in sé? Chi sono i suoi personaggi? Come si muovono sul palcoscenico?
«Ci sono due figure, un uomo e una donna, che attraverso una delle manifestazioni più potenti che in questo caso è l’arte, in particolare la canzone italiana dagli anni ‘40 agli anni ‘90, riconoscono che già allora si andava nella direzione della separazione. Attraverso canzoni famosissime, perché parliamo di “Grazie dei fior” di Nilla Pizzi, “Nessuno mi può giudicare” della Caselli, di “L’importante è finire” di Mina e “Ritornerai” di Bruno Lauzi, si passa alla drammaticità dell’opera, con i personaggi che si rendono conto che una soluzione c’è ed è semplice. Ci è stata dettata all'origine dei tempi. Basta tornare lì».
Le prevendite dello spettacolo sono disponibili su Biglietteria.ch.