Soddisfatto il direttore artistico: «È stata un’edizione di successo, lontana dal cattivo gusto».
LOCARNO - Ritiene riduttivo parlare di pubblico, per questo allarga il termine fino alla voce “comunità”. Anche nella narrazione e nell'analisi di un successo, difficile smuovere Giona A. Nazzaro dal suo vestito di sobrietà con cui centellina gli entusiasmi. Che gli derivano in particolar modo anche dalla risposta data dagli spettatori al “suo” festival.
Se il regolamento lo prevedesse, bisognerebbe dare un Pardo anche al pubblico?
La soddisfazione maggiore è quella che un programma chiaramente a tratti impegnativo abbia incontrato il consenso di un pubblico non specializzato, che ha reagito con entusiasmo riempiendo sempre le proiezioni dei film. Non mi aspettavo un tale grado di adesione, un tale grado di fiducia del quale sono estremamente grato».
In questa attestazione di fiducia, quale l'elemento che a suo avviso ha contribuito a mantenere saldo il rapporto festival-pubblico o comunità come preferisce definirlo?
Mi ha molto colpito il consolidarsi del rapporto con le comunità del Locarnese, che mi hanno dato l'impressione di avere ancora di più deciso di essere coinvolte in una conversazione con la selezione dei film delle competizioni. Le faccio un esempio. Quando ho presentato l'ultimo film di Cineasti del presente ho chiesto alla sala se potevo fare una foto, perché non è scontato che l'ultimo giorno di concorso, nel cuore dell'estate, per un film del Kazakistan vi sia la sala strapiena con persone che aspettavano di entrare.
Ritiene ci si ritrovi in un momento storico in cui la gente riscopre un rinnovato bisogno di cinema?
La gente non solo sente un bisogno di cinema, un cinema diverso, come giustamente nota lei, ma sente il bisogno di essere coinvolta nel mondo. I nostri film sono tutt'altro che orientati ideologicamente, ma i nostri spettatori sanno che questi film vengono da posti con i quali vogliono entrare in contatto e da luoghi spirituali, emotivi dei registi che sono sinceri. La cosa da evidenziare è che noi riusciamo a fare un festival di successo numericamente senza fare concessioni al cattivo gusto».
Cosa non si aspettava e se c'è qualcosa che di questa edizione le è dispiaciuto?
Guardi, sulla prima domanda mi ripeterò: la risposta del pubblico. Poco prima che mi telefonasse stavo parlando con la regista del film Green Line, di Sylvie Ballyot, che mi stava appena raccontando (io purtroppo non ero presente alla fine della proiezione) che anche lì c'è stata una standing ovation di dieci minuti. La proiezione del film lituano che ha vinto il Pardo d'oro è slittata di 8 minuti perché la gente continuava a entrare. Se mi chiede cosa mi è dispiaciuto, sicuramente avere avuto solo due commedie. Sentire il pubblico ridere è sempre una delle musiche più belle. Ma l'assenza di commedie non è solo un problema di Locarno.
Molti hanno notato che l'Italia esce oramai da anni a mani vuote dal festival (con i Pardi bisogna andare indietro al 2004 con Private di Saverio Costanzo e ancora più in là al 2001 con Alla rivoluzione sulla 2 Cavalli di Sciarra). Un segno di momentanea debolezza? Glielo chiedo come persona (molto) informata dei fatti di cinema e pensando a quella "nouvelle vague" italiana che alla fine degli anni '80 andò sotto il nome di Nuovo cinema italiano (con i vari Mazzacurati, Martone, Piccioni).
Il cinema italiano gode di ottima salute. Noi i film italiani che invitiamo sono film che amiamo molto. Non mettiamo insieme le giurie sperando che vinca qualcosa o qualcun altro. Osservo che c'è una generazione molto , molto competente e motivata. Noi abbiamo cercato di portare sia gli autori nuovi che gli autori affermati (abbiamo portato sulla piazza per esempio Edoardo Leo) e quindi la nostra attenzione per la cinematografia italiana c'è tutta e ci sarà anche in futuro.
Che sarà ancora in agosto del 2025?
Certamente. L'idea di uno spostamento di cui si è parlato richiede tempo.