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LOCARNO FILM FESTIVALCome farsi notare da Depardieu (anche se eri lì ad accompagnare un'amica) e cosa non si tocca agli americani

08.08.24 - 14:01
Quattro chiacchiere con Mélanie Laurent e Guillaume Canet, che hanno ricevuto l'Excellence Award Davide Campari.
Tipress/Locarno Film Festival
Come farsi notare da Depardieu (anche se eri lì ad accompagnare un'amica) e cosa non si tocca agli americani
Quattro chiacchiere con Mélanie Laurent e Guillaume Canet, che hanno ricevuto l'Excellence Award Davide Campari.

LOCARNO - Due grandi nomi del cinema francese contemporaneo, due volti noti che si sono fatti apprezzare (soprattutto uno dei due) anche in quel di Hollywood. 

Mélanie Laurent e Guillaume Canet sono stati insigniti mercoledì sera del Excellence Award Davide in Piazza Grande, dove - per l’occasione - è stato proiettato il film che li vede protagonisti: “Le Déluge”, diretto dall’italiano Gianluca Jodice, e ambientato nella decadente Francia settecentesca di Maria Antonietta.

Canet, più attivo in patria che negli States (dove però è apparso in “The Beach” di Danny Boyle) è conosciuto anche alle nostre latitudini per le sue commedie brillanti (“7 uomini a mollo”, la serie “Bugie tra amici” e “Asterix & Obelix”). A quella di attore ha affiancato una fortunata carriera di regista che gli è valsa diversi premi.

Laurent, invece, è facilmente associata al suo ruolo di Shoshanna in “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino, parte che l’ha letteralmente traghettata oltreoceano dove ha lavorato in diverse produzioni importanti. Ultimo suo lavoro, anche in veste di regista, è il lungometraggio “Le Ladre” su Netflix.

«Com'è lavorare con le piattaforme? Difficile, soprattutto per quanto riguarda le trattative economiche. Si fanno film incredibili con budget milionari, ma se a chiedere fondi è una regista donna, che vuole raccontare una storia femminile le cose sono tutte in salita», si toglie un sassolino dalla scarpa Laurent.

Questo giovedì mattina i due attori hanno incontrato il pubblico del Film Festival e la stampa allo Spazio Cinema.

«Devo dire che di Locarno mi ha stupito il silenzio, quasi religioso, di Piazza Grande quando è illuminata dal riflettore e dal grande schermo», esordisce Canet, «conosco bene il Film Festival e ricevere un riconoscimento come questo fa un grande piacere, certo anche se un premio alla carriera non può che farti sentire un po’ vecchio», ride.

«Ogni premio che si riceve è una cosa grande e può intimidire, io faccio il possibile per mantenere un approccio che ho anche con il cinema: ovvero spontaneo e leggero, senza pensarci troppo. Altrimenti si rischia di rimanere sopraffatti», aggiunge Laurent.

Una carriera, quella di entrambi, nel segno della varietà - di genere e stilistica - ma anche professionale: fra recitazione, scrittura e regia.

«In realtà io nasco come regista e divento attore un po’ per caso», racconta Canet, «la passione per il cinema nasce in camera mia, durante l’adolescenza. Da quindicenne ho iniziato a pasticciare in cameretta costruendo i miei primi film. A diciassette anni ho deciso che se volevo farne un lavoro dovevo andare a Parigi. Ho iniziato a recitare perché mi sono detto: “Non puoi pensare di dirigere degli attori se non sai come funziona” e quindi ci ho provato. La mia prima prova è stato un monologo tragico, davvero tristissimo», ride, «lì però ho capito il potere della recitazione. I miei primi cortometraggi li ho assemblati a termine di lavorazione dei set sui quali lavoravo, chiedevo il permesso di utilizzare l’equipaggiamento alla troupe e giravo».

Per Laurent - invece - le porte del mondo del cinema si spalancano «per caso» da giovanissima, racconta l’attrice, «avevo accompagnato la mia amica che recitava sul set, in qualche modo Gérard Depardieu mi ha notata e mi ha detto: “Non è che vorresti fare l'attrice”?. Gli ho risposto: “Perché no?” (i due hanno poi lavorato assieme nel 1999, ndr.) Sono tornata alla regia tanti anni dopo, sospinta da un mio amico che lavora nel cinema. Anche in quell'occasione, mi ha detto: «Perché non ci provi?», e così è andata, «per me tornare “solo” a recitare con “Le Déluge” è stato per certi versi un sollievo, potersi adagiare così su di un personaggio e concentrarsi nel veicolare emozioni».

Nella pellicola che è stata proiettata in Piazza Grande il duo veste i panni (ingombranti) di marito e moglie: Maria Antonietta e Luigi XVI.

«La cosa più impegnativa per me è stato il trucco», racconta Canet, «arrivavo sul set alle 4 per iniziare a girare alle 8. C’era talmente tanta cipria, parrucche e abiti che temevo frenassero la mia espressività. Alla fine sono riuscito a sbloccarmi anche capendo che quella “ingessatura reale” faceva parte del personaggio. La possibilità di farsi “strappare di dosso” Luigi alla fine della giornata di lavorazione è stata anche quella illuminante, per certi versi».

«Quando sono arrivata sul set e ho visto Guillaume truccato in quel modo mi ha proprio lasciata basita, più che altro per il corpo e la postura piuttosto che per il volto», ricorda Laurent, «in ogni caso abiti come quelli sono davvero impegnativi, io non passavo dalle porte senza un aiuto e non parliamo dell’andare in bagno…»

Dulcis in fundo, il rapporto con Hollywood: una "Mecca" da visitare, ma senza dimenticare la Francia.

«Devo dire che per me non è mai stato un must lavorare negli Stati Uniti», commenta Canet, «conosco diversi attori francesi che hanno lavorato in America, hanno fatto anche carriera ma hanno sempre dovuto fare i conti con parti un po’ così. Magari gli facevano fare il cattivo, il personaggio di contorno, eccetera… In questo senso io in Francia ho sempre avuto parti bellissime, quindi da quel punto di vista non è che fossi particolarmente interessato, e quello che ho successivamente vissuto in prima persona l’ha confermato. Sia chiaro, l’esperienza di “The Beach” è stata incredibile, con Leonardo Di Caprio che era sulla rampa di lancio e il set in Thailandia è stato meraviglioso, ma quello che ho capito di non saper reggere era tutto il sistema Hollywood. Quella follia a base di marketing, public relations che è un po’ un’onda che bisogna saper surfare. Insomma, non era per me. Per contro la scena indipendente americana è davvero stimolante, piena di professionisti bravissimi. Certo, lavorano in modo tutto loro… nessuno gli tocchi il loro “lunch break”», conclude ridendo.

«La sensazione che ho avuto, sia come attrice sia come regista è che in Francia gli attori vengono visti un po’ come degli dei mentre in America sono semplicemente dei tecnici. Non siamo visti come dei creatori o degli artisti, ma come degli artigiani che sono sostituibili se non soddisfano le attese. Tutto il sistema che hanno è inizialmente è un po’ uno shock culturale per chi arriva dall’Europa, da regista ho fatto il possibile per “francesizzarlo” un po’ e devo dire che gli attori con cui lavoravo hanno apprezzato. I produttori forse… un po’ meno», conferma Laurent.

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