La giornalista e scrittrice sarà ospite a Poestate il prossimo sabato 1 giugno per presentare il suo ultimo libro "Infanzia e bestiario"
LUGANO - La giornalista e scrittrice Claudia Quadri conduce il lettore attraverso la propria infanzia, adolescenza e vita da giovane adulta. Un viaggio alla scoperta della vita personale dell'autrice, in cui gli animali e la natura occupano un ruolo predominante. "Infanzia e bestiario" racconta di giornate passate nei boschi del Sottoceneri e lungo le sponde del Ceresio.
Di certo un racconto autobiografico, che passa in rassegna i ricordi più vividi, quelli che riaffiorano durante il processo di scrittura e che vengono impressi sulla carta per il piacere, l’interesse e la curiosità del lettore. Per chi hai scritto il libro?
«L'ho scritto pensando alle persone di cui parlo. È un racconto autobiografico, che ripercorre la storia della mia famiglia. Ci sono autori che non scrivono una riga prima di aver elaborato un progetto. Ma non è il mio caso. Mi piace la dimensione della scoperta. Potrei dire che scopro il libro come un lettore mentre lo scrivo. È un lavoro complesso. Ma non mi piacerebbe se sapessi già come va a finire».
Animali tanto diversi da noi, come sottolinei giustamente nell’ultimo capitolo, e che nonostante ciò vediamo come nostri simili, come se a unirci ci fosse qualcosa di più grande di noi stessi, al di là dell’umana concezione. Chi sono gli animali che descrivi? E che ruolo hanno svolto nella stesura dell’opera?
«Sono la chiave di lettura. Tutta la mia infanzia è costellata dalla loro presenza. Hanno un ruolo di messaggero o testimone. Ma esiste anche un elemento più militante. Come umani abbiamo sempre pensato di essere noi i depositari del linguaggio. Non è così. Sappiamo relativamente poco del mondo animale. Per non parlare del mondo vegetale. Le piante comunicano tra loro tramite le radici. Emettono sostanze chimiche e mettono in atto strategie di comunicazione. Ci siamo dati un ruolo centrale. È comprensibile. Ma abbiamo spesso sopraffatto le altre forme di vita, senza comprendere il loro ruolo nel mantenimento dell'equilibrio sul pianeta».
Un albergo, una famiglia, gli ospiti, gli impiegati. Un locus amoenus, sulle sponde del Ceresio, che vede la gente andare e venire. Un luogo in cui osservare, imparare, assorbire, giudicare. Una pianta salda a terra, che permette di sognare. Cos’è o meglio cos’era, per te, l’albergo di famiglia?
«Era casa. Una specie di microcosmo. Un mondo pieno di stimoli. C'è anche una dimensione di gelosia. Le attività a conduzione famigliare richiedono un grande impegno da parte di chi ci lavora. Vedevo quanto tempo i miei genitori dedicavano ai loro clienti. Solo più tardi ho realizzato il valore della cura e dell'attenzione che i miei genitori gli concedevano».
L’infanzia, i boschi, l’adrenalina percepita e la libertà. Assaporata fino all’osso, al limite del pericolo. L’insaziabile voglia di esplorare, di scoprire cose nuove, di andare fino in fondo. Questi sentimenti ti motivano ancora oggi?
«Da bambino il tuo sguardo è pieno di meraviglia. Dovrebbe essere sempre così. Personalmente continuo a coltivare questo sguardo perché non voglio vivere in modo banale. Il tempo a disposizione è poco».
I bruti, i trogloditi, quelli che rispondono male, quelli che mettono le mani dove non dovrebbero. Non ti è mai stato stretto il Ticino?
«Le mie radici ticinesi sono profonde. E le forme di sopruso e di sopraffazione esistono ovunque. Non sottovalutiamo il Ticino. Qui le fonti di meraviglia si rinnovano ogni giorno. Basta aprire la finestra di casa».