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LUGANOLuca Ravenna si racconta: «Spero in un LOL tutto ticinese, sarebbe una bomba»

21.10.22 - 06:30
Il comico milanese sarà questa sera a Lugano con il suo spettacolo "568 - Erasmus Edition". Lo abbiamo intervistato
Luca Ravenna
Luca Ravenna si racconta: «Spero in un LOL tutto ticinese, sarebbe una bomba»
Il comico milanese sarà questa sera a Lugano con il suo spettacolo "568 - Erasmus Edition". Lo abbiamo intervistato

LUGANO - Luca Ravenna è conosciuto dal grande pubblico per aver partecipato alla prima edizione del programma di Amazon Prime "LOL - Chi ride è fuori". Comico e autore, il 35enne è un pilastro della stand-up comedy italiana, un tipo di comicità che si sta affermando sempre più soprattutto tra i giovani. Dopo essersi esibito nei maggiori teatri italiani, Luca Ravenna sta portando il suo spettacolo "568" in giro per l'Europa. Dopo Lisbona, Barcellona, Parigi e Amsterdam, il tour europeo "Erasmus Edition" arriva questa sera anche a Lugano, presso L'Hotel de la Paix. Per l'occasione l'abbiamo intervistato. 

Partiamo da LOL. Ti ricordi magari a quale battuta è stato particolarmente difficile non ridere? 
«C'è stato un momento in cui all'inizio Lillo mi ha chiamato toccandomi la spalla e girandomi sapevo che avrebbe fatto una gag, che era poi quella in cui fingeva di rompersi il collo con il rumore delle patatine sotto al braccio. Ho pensato: "ok, adesso arriva la pirlata". Sono molto fiero di me, quello è stato l'unico momento in cui mi sono comportato bene nel gioco, poi per il resto... Ma è stata un'esperienza molto bella, è stato come giocare in nazionale quando di solito gioco in una squadra provinciale. E mi ha dato anche molta visibilità»

Come sta andando il tour europeo? 
«Molto bene, le date sono quasi tutte sold out, c'è ancora qualche biglietto per Lugano e Berlino. L'ultimo spettacolo di Amsterdam è stato davvero bello, con ben 350 italiani che hanno riempito un locale pazzesco. Lugano invece è un po' diverso, è un estero un po' "truccato". Ma sono molto felice di venire, perché ho un legame particolare con la vostra città. Mio papà ci vive da molti anni, quindi mi fa molto piacere». 

Ci sarà anche qualche battuta sul Ticino? 
«Assolutamente sì. Anzi, spero che prima o poi venga fatto un LOL ticinese, sarebbe una bomba. Da piccolo sono sempre andato in vacanza in Svizzera, quindi conosco bene l'ironia e l'autoironia locale».

Oggi un comico deve stare attento anche al politically correct? 
«L'attenzione che si dà alle parole è importante. Il linguaggio cambia e racconta i tempi che mutano. Ma è anche giusto che ci siano dei luoghi, come possono essere gli spettacoli comici, i film e i libri dove si scherza sul linguaggio e sul suo cambiamento. Poi se una persona va a vedere uno spettacolo comico sperando di far fallire il comico per una parola sbagliata, sono problemi suoi».

Non è un periodo facile per far ridere, tra pandemie e guerre. Come gestisci questa cosa dal palco? 
«Non è mai successo nella storia dell'umanità che qualcuno abbia riso e poi abbia detto "oh no, che peccato, ho riso". Ridere fa sempre bene. Detto questo siamo tutti coscienti del periodo in cui ci troviamo. Un'ora e mezza spesa ad ascoltare una persona che si mette a nudo e cerca di far ridere sul palco spero che sia un qualcosa in più, e non qualcosa che ti toglie del tempo che magari spenderesti ad osservare quello che c'è intorno». 

Hai sempre saputo di voler fare il comico da grande? 
«Mi sa di sì. Da piccolo cercavo di far ridere il più possibile i miei amici. Da qui a fare il comico sul palco ce ne passa ovviamente, ed è stato molto utile "studiare" altri comici che mi hanno poi ispirato, come la Gialappa's, Aldo Giovanni e Giacomo - non ti dico il mio rapporto con lo sketch sugli svizzeri -. Poi crescendo ho iniziato a scrivere per la tv e il cinema, ma ad un certo momento mi son detto che volevo esserci io sul palco». 

Come hai conosciuto Edoardo Ferrario, con cui conduci "Cachemire", un podcast di successo? 
«Anni e anni fa un amico comune mi ha portato a vedere il suo spettacolo in un club di Roma. A fine serata mi sono presentato, gli ho detto "bellissimo il tuo spettacolo, voglio farlo anche io". Poco dopo ci siamo rivisti perché gli avevo scritto uno sketch su Roberto Saviano (che poi è venuto ospite al nostro podcast). Da lì abbiamo sempre collaborato, io ho scritto per lui, lui mi ha portato a "Quelli che il Calcio". Poi quando è scoppiata la pandemia ci siamo detti che potevamo lanciare un podcast, e tra un mese torniamo con la terza stagione». 

Fai parte della nuova generazione di comici che è riuscita finalmente, nonostante la pandemia, a riportare i giovani nei teatri. C'è però forse qualche invidia con la generazione precedente di comici? 
«Sì sicuramente. Se tutto va come deve fra qualche anno sarò io invidioso di quelli più giovani, a patto di avere gli stessi soldi di quelli che ha la generazione prima della mia. A parte gli scherzi, quello di cui andiamo più fieri io e i miei colleghi è quella di portare tantissimi ragazzi a teatro. Coloro che gestiscono i vari locali ci dicono spesso che non vedevano così tanti capelli colorati (e non teste bianche) da tanto tempo. Questa è una bella soddisfazione: è bello far ridere ma anche restituire alla socialità delle attività che non sia solo stare su internet». 

C'è qualche comico della vecchia guardia che è venuto a vedere il tuo spettacolo?
«Sì, qualcuno è venuto. Ricordo Elio, e il Mago Forrest è stato il primo a venire ad un mio spettacolo all'inizio, quattro o cinque anni fa. È una cosa che ti fa un piacere infinito, perché sono cresciuto vedendo i suoi sketch. Anche Claudio Bisio era tra il pubblico. In generale vedo sempre più curiosità da parte di comici che hanno fatto tanto "Zelig" o "Colorado"».

Progetti per il futuro? 
«Ripartiremo con il nostro podcast, e ce ne sarebbe anche un altro che mi piacerebbe avviare, ma che per scaramanzia non ti dico. Sono molto scaramantico, come se fossi napoletano. Poi mi piacerebbe molto scrivere un film (cosa che sto facendo). Nel mio spettacolo parlo del cinema italiano, ed è molto facile fare ironia sugli altri, ma è molto più difficile mettersi in gioco». 

 

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