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«Da "Adrian" Celentano ha ricavato uno stimolo nuovo: tornerà presto, vedrete»

CANTONE«Da "Adrian" Celentano ha ricavato uno stimolo nuovo: tornerà presto, vedrete»

09.12.19 - 08:00
Gianni Dall'Aglio, storico batterista del "Molleggiato" ma anche di Lucio Battisti, sarà protagonista di "Un Ribelle si racconta" il 21 dicembre a Lodrino
GIANNI DALL'AGLIO
Gianni Dall'Aglio e la copertina di "Batti un colpo", la sua autobiografia che presenterà il 21 dicembre a Lodrino.
Gianni Dall'Aglio e la copertina di "Batti un colpo", la sua autobiografia che presenterà il 21 dicembre a Lodrino.
«Da "Adrian" Celentano ha ricavato uno stimolo nuovo: tornerà presto, vedrete»
Gianni Dall'Aglio, storico batterista del "Molleggiato" ma anche di Lucio Battisti, sarà protagonista di "Un Ribelle si racconta" il 21 dicembre a Lodrino

LUGANO - La telefonata lo raggiunge il giorno successivo alla fine di "Adrian", l'ultimo show di Adriano Celentano. Gianni Dall'Aglio, leggenda della musica italiana, è un po' stanco «ma va bene: è sempre molto gradevole se si suona».

Il 21 dicembre alle 20.30 sarà protagonista di "Un Ribelle si racconta" alla ex Fabbrica del vetro di Lodrino, una serata durante la quale parlerà della sua vita e dei contenuti dell'autobiografia "Batti un colpo", ma anche di un evento dedicato al "Molleggiato" che avrà luogo nel 2020 sempre a Lodrino. 

La conduzione è affidata il giornalista Giorgio Fieschi, che è legato a Dall'Aglio da un'amicizia pluridecennale e del quale è stato produttore discografico. Ospite speciale: Silver Pozzoli, tra i più famosi coristi e vocal coach italiani.

Cos'ha da raccontare questo Ribelle al pubblico ticinese?
«La sua vita, che è la cosa più semplice da raccontare per un ribelle. È stato un viaggio musicale infinito, molto bello, che mi ha regalato momenti indimenticabili. Ho voluto fare un racconto che fosse facile e leggero da leggere. Lo scopo di questa mia autobiografia è fare in modo che ci si possa immedesimare in questo percorso di vita».

Questo desiderio di raccontarsi nasce da un episodio particolare?
«Sì, ce n'è uno che ha fatto scattare in me questo desiderio. Ed è qualcosa che non mi piace raccontare, ma che svelerò durante l'incontro. Sarà una piccola sorpresa».

A 13 anni suonavi insieme ad Adriano Celentano e l'hanno dopo eri nei Ribelli, il suo storico gruppo: che tempi sono stati quelli per te?
«Il primo gruppo che Adriano aveva formato ruotava su me e su Gino Santercole (ovvero suo nipote) alla chitarra. E chitarra anche Adriano. Era un gruppo rock anomalo: mancavano il basso, il pianoforte e anche il sassofono. Eravamo agli albori di un nuovo genere musicale: non c'è mai stato un cambio così radicale come quello che è avvenuto con l'avvento del rock 'n roll. Non c'è più stata una spinta verso qualcosa di così completamente nuovo. Per questo è stato possibile quel "miracolo" avvenuto nella mia vita».

Potrebbe capitare oggi, a un ragazzino di quell'età, un debutto musicale così folgorante?
«È improbabile».

Ti consideri un pioniere musicale?
«Ai miei tempi quelli forti o erano i jazzisti, ma non c'entravano niente, oppure erano i "vecchi", quelli che facevano la musica tradizionale. Io sono stato un antesignano del rock: mi sono infilato in quello spazio e devo ringraziare l'aver sempre avuto il senso del ritmo, che è la prima cosa che serve a un batterista. Avevo questa dote e, da autodidatta, ho imparato replicando quello che sentivo nei dischi. Quando andavo a fare le prime serate con Adriano, nel primo "giro" tra locali e teatri, il pubblico assisteva per la prima volta a questo rock 'n roll. Era innovativo nel modo di suonarla, di come posizionarla, il volume... È questo che ha permesso a un 13enne di entrare in un gruppo che ha fatto la storia della musica italiana».

Torniamo a Celentano: senza questo incontro la tua vita sarebbe stata totalmente diversa?
«Assolutamente sì. L'incontro con Adriano è stato l'evento fondamentale del pezzo iniziale della mia vita. Mi ha permesso di entrare, uso una metafora, nel campionato di calcio di Serie A e io ero il centravanti della squadra prima in classifica, o seconda. Tutti mi guardavano e io mi mettevo in mostra, perché ero un ragazzino timido per certi versi ma quando ero dietro la batteria diventavo esuberante, egocentrico. Dopo ho avuto tutte le porte spalancate e noi, come Ribelli, siamo stati co-partecipi del successo di Celentano».

A un certo punto i Ribelli hanno iniziato a brillare di luce propria...
«Dopo esserci separati da Adriano siamo diventati autonomi, soprattutto con l'arrivo di Demetrio Stratos alla voce e organo Hammond. Da lì siamo diventati veramente competitivi. Lo saremmo stati anche in Europa, purtroppo abbiamo avuto poco sostegno da parte della casa discografica Ricordi. Ma fu anche colpa nostra: non sapevamo bene dove andare e, anche se avevamo le carte in regola e una grandissima esperienza in studio, non abbiamo mai fatto il grande salto. È l'unica cosa di cui mi rammarico nella mia vita artistica: che abbiamo dato forse il 50% di quello che potevamo dimostrare. Avremmo dovuto essere un po' più megalomani».

Che mi dici di Demetrio Stratos?
«Lo ricordo come un fratello meraviglioso. Era umile, semplice ma di grandissimo spessore artistico. Una persona simpatica, con il quale ero in perfetta sintonia musicale. In cinque anni di vita con Demetrio non ho mai avuto una minima discussione con lui. Un mite che aveva un angelo in gola, e cantava come un angelo».

"Adrian" è il progetto appena terminato che di ha visto di nuovo accanto a Celentano. Tu hai preso parte a tutti i suoi show televisivi, giusto?
«Direi di sì, ho mancato solo quella prima parte di "Adrian" che ha fatto a gennaio a Verona e che è stata un disastro. Tutto sommato sono contento di non esserci stato! (ride, ndr)».

Come ti spieghi che i precedenti spettacoli sono stati dei grandi successi mentre questo passerà probabilmente alla storia come il suo flop più clamoroso?
«La mia opinione personale è questa: Adriano negli anni ha sempre anticipato i tempi, con la musica, la scenografia, il dialogo con il pubblico e queste sue prediche o sermoni, le pause... Erano delle primizie che in tv non si erano mai viste e tutti i giornali ne parlavano. Però ha sempre avuto, nel cassetto dei suoi desideri, un personaggio "messianico" che ci riporta a Joan Lui (protagonista del controverso musical del 1985, ndr). Che è poi il suo alter ego».

E questo è molto nello stile di Celentano. C'è quindi stato un problema in quello che ha voluto dire al pubblico?
«Il messaggio che Adriano vorrebbe dare alla gente è quello di un mondo pulito, ecologicamente consapevole del dono ricevuto, nel quale possano coesistere una città moderna e le tradizioni culturali, storiche e naturali. Una perfetta unione di nuovo e tradizionale. Nel 2019 riproporre questo tipo di messaggio sa di già visto, anche un po' di vecchio se vogliamo. Vuoi perché Greta Thunberg ha dato questa grossa spinta all'ecologia, vuoi che le persone mettono tutto insieme e fanno confusione... Tutto è talmente accelerato che quello che lui dice è banale e non fa più notizia. Questo, unitamente alla scelta del personaggio animato, ha creato sconcerto da parte dei suoi fan. Loro non capivano che "Adrian" è la sintesi di ciò che lui vorrebbe essere nella vita (ride, ndr)».

Dopo gennaio non dev'essere stato facile gestire questa situazione...
«Le persone hanno visto la débâcle come un insuccesso diretto di Celentano, e non del progetto televisivo. In più aggiungiamo che Adriano non ha un successo discografico recente: l'ultimo è il disco fatto con Mina ma è dovuto all'incontro dei due personaggi. Quindi, dopo il calo vertiginoso dell'audience di gennaio, la lunga pausa, la nuova promozione è stato studiato qualcosa che modificasse un po' le cose: quindi ha deciso di cantare. E di parlare, e ha diviso l'Italia. In più c'era il personaggio di Adrian, che è stato ancora il piombo che ha tirato a fondo lo spettacolo».

In conclusione: è stato un fiasco assoluto o c'è qualcosa da salvare?
«Tre milioni di persone davanti a uno schermo, oggi, capendo che non c'è più un Celentano che può fare 8-9 milioni di telespettatori come una volta: non è un risultato da sottovalutare».

Hai parlato con Adriano di questo? Che giudizio ne ha tratto?
«Sia lui che i produttori di Mediaset, tutto sommato, sono contenti dell'audience di quest'ultima parte».

L'altro giorno ha ricevuto il Tapiro d'Oro di "Striscia la Notizia" e ha detto con grandissima umiltà e lucidità: "Non sono più un maestro, sono tornato ad essere alunno". Si è accorto di non essere più un "profeta" e che la contemporaneità l'ha superato e raggiunto?
«Esattamente. Penso che si aspettasse un'audience maggiore, ma da questa esperienza ha ricavato uno stimolo nuovo per fare qualcosa, anche a breve. Pure a me dice le cose a rate, vuole sempre che siano sorprese; lui gioca moltissimo con gli amici. Da quello che ho percepito, però, presto tornerà a sorprenderci».

Invece Lucio Battisti?
«È stata l'altra figura musicale importante della mia vita».

Che ne pensi dell'arrivo della sua musica sulle piattaforme di streaming? La vedi positivamente o sei sulle posizioni della sua vedova, che l'ha osteggiato in tutti i modi?
«La vedova di Battisti, francamente, ha fatto esattamente quello che avrebbe fatto lui. Non era tanto gratificato dal successo stratosferico. Era una loro legittima e sacrosanta volontà; ciò non toglie che oggi sia giusto e bello che i giovani crescano nella loro cultura attraverso le canzoni di Lucio Battisti».

E il riscontro è stato immediato: "Il mio canto libero" è arrivato in cima alla classifica di Spotify.
«Quando l'ho saputo ho detto che non avrei mai pensato che la mia batteria, nel 2019, sarebbe stata in classifica su un sistema di fruizione così futuristico. Mi fa piacere che i ragazzi, ascoltando le canzoni di Lucio, avranno una crescita musicale che mancava e che deve esserci».

Anche il leggendario duetto tv Mina-Battisti va fortissimo su YouTube: cosa ti ricordi di quello show, che tra l'altro ti vide in posizione privilegiata?
«Grazie alla pedana sotto la batteria! (ride, ndr). Il destino ha voluto che fosse lì e così, mio malgrado, fossi sempre in mezzo all'inquadratura, tra loro due. Sono fiero di aver fatto quella cosa, che sa anche quella di un mezzo miracolo. Nessuno di noi era cosciente che sarebbe diventata una trasmissione così importante».

Voi quindi siete andati alla Rai convinti di fare un'esibizione come tante altre, vero?
«La nostra parte l'abbiamo imparata sul treno, in vagone letto, di notte, andando da Milano verso Roma. Lucio ci chiamò nella sua cabina, ci spiegò che avremmo fatto delle canzoni con Mina e che in quel momento avremmo dovuto trovare la chiave per metterle insieme in un medley. Così mi misi a suonare la batteria sui cuscini del letto di Lucio, lui aveva la chitarra acustica e così anche Massimo Luca. Pensavamo però che il giorno dopo avremmo fatto le prove serie in studio. Cosa che non è avvenuta, perché Mina arrivò in ritardo. Facemmo un'unica prova con lei, che fu bravissima; sembrava che avesse già cantato insieme a Lucio per chissà quante ore».

Come ritieni che sia andata quella performance?
«Fu come l'acqua di un fiume, che va avanti in continuazione e non si ferma mai. Siamo partiti e non ci siamo più fermati. Sono orgoglioso che questo duetto abbia un successo continuo e sia diventato oggetto di culto televisivo. Sono contento di come suonai: sono sempre abbastanza critico ma lì non trovo niente di sbagliato. Fu tutto perfetto. Ma il momento migliore fu quando ci accorgemmo che dietro di noi c'era l'orchestra della Rai, tutta composta da grandi maestri. Sentivo i loro occhi sulla schiena, così mi sono girato timidamente come per chiedere scusa. Invece li ho visti che applaudivano. Dentro di me ho detto: "Allora è andata bene"».

Per concludere, Gianni: di cosa vai più orgoglioso nella vita?
«Sono felice di aver amato delle persone meritevoli e che mi hanno arricchito tantissimo. Sono felice dell'amore che ho dato a queste persone e che ho ricevuto».

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