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I re (ticinesi) dell'Asia sono già al lavoro

CANTONEI re (ticinesi) dell'Asia sono già al lavoro

14.10.19 - 06:01
Dopo essere tornati dalla loro terza trionfale tournée in Oriente i Dreamshade si sono buttati anima e corpo nella realizzazione del loro nuovo disco
KYRHIAN BALMELLI
I Dreamshade durante il loro trionfale tour asiatico.
I Dreamshade durante il loro trionfale tour asiatico.
I re (ticinesi) dell'Asia sono già al lavoro
Dopo essere tornati dalla loro terza trionfale tournée in Oriente i Dreamshade si sono buttati anima e corpo nella realizzazione del loro nuovo disco

LUGANO - Non è da tutti portare a termine un tour in Asia, specialmente per una band ticinese. Se poi quella conclusa nelle scorse settimane è addirittura la terza tournée dall’altra parte del mondo, ecco, c’è poco altro da aggiungere per far capire quale levatura hanno raggiunto ormai i Dreamshade.

Per parlarci un po’ di questa ennesima straordinaria esperienza abbiamo contattato Kevin Calì, il frontman di questa amata rock band.

Kevin, com’è andata la vostra tournée asiatica?
«Direi alla grande. Questa volta abbiamo toccato delle città cinesi come Kunming e Chengdu, dove non eravamo mai stati, ed è stato un grande successo tutte le sere. L’accoglienza è sempre favolosa e ogni show ci ha sorpreso».

Cosa c’era di diverso rispetto ai tour precedenti?
«Intanto siamo noi a essere cambiati: la line-up era differente, non siamo più gli stessi degli altri tour. Tra il pubblico c’erano persone che erano venute a sentirci in passato e - non ci potevamo credere - gente che ha fatto spostamenti di migliaia di chilometri per essere a un nostro concerto. Alcuni sono venuti a due date di fila e ci hanno seguito... È una cosa completamente fuori di testa, da veri fan».

Quindi avete una solida base di sostenitori asiatici?
«Assolutamente sì! Fatta di vecchi e nuovi fan. Alcuni ci hanno scoperti da poco, altri ci seguono da anni e questa è una figata. Ci ha fatto molto piacere l’aver percepito tutto questo fermento, non ce lo aspettavamo».

Uno dei concerti vi è rimasto particolarmente impresso nella memoria?
«Quello di Chengdu, sia personalmente che dopo aver sentito i feedback della band. Era in un club di una delle città in cui non eravamo mai stati e con gente fuori di testa. Non ci aspettavamo un’accoglienza del genere. Quasi tutti cantavano le nostre canzoni, sia le vecchie che quelle nuove, saltavano, pogavano, si buttavano dal palco... Ma anche il primo concerto a Taipei, nel corso di un festival. Uno show gigantesco, sulla spiaggia, con tantissime persone. Sono state due cose grandiose con atmosfere differenti, ma se mi dici di sceglierne una ti direi Chengdu: è stata davvero una sorpresa».

Qual è la cosa più assurda che vi è capitata?
«L’Asia è assurda ogni giorno: abbiamo visto talmente tante cose, personaggi particolari… È una realtà così diversa da quella a cui noi siamo abituati ed è stato figo confrontarsi con essa. Sia in Cina che in Giappone è stata una continua scoperta di cose nuove».

Avete avuto modo di fare anche un po’ i turisti?
«È stato fatto tutto abbastanza di corsa, i viaggi sono lunghi e c’erano parecchi aerei da prendere, però fortunatamente siamo riusciti a trovare un po’ di spazio qua e là per visitare e per concederci un po’ di svago. Città bellissime, luoghi fantastici e che non ti aspetti, da togliere il fiato».

Vi siete concessi un po’ di relax, appena tornati?
«Ci siamo presi giusto una settimanella e poi ci siamo trovati e abbiamo subito buttato giù un programma dei prossimi mesi e una deadline da osservare».

Che, immagino, riguarda la realizzazione del nuovo album che è in cantiere. Che tipo di lavoro sarà?
«”Vibrant”, che è l’ultimo disco che è uscito, aveva un approccio più rock. Vogliamo ritornare un po’ a quello che è stato il nostro sound precedente e trovare una giusta amalgama, che racchiuda tutto il nostro percorso fino a oggi. Ci siamo prefissati di scrivere un album più d’impulso e d’istinto, nella maniera più naturale e genuina possibile e senza soffermarci troppo a rivedere ogni singolo dettaglio».

Quindi vi attendono settimane parecchio impegnative, o sbaglio?
«Nei prossimi mesi ci concentreremo sul disco. Abbiamo già alcuni brani pronti, che sono usciti bene, nella direzione giusta che vogliamo seguire. Altri sono da completare entro la fine di febbraio o l’inizio di marzo, quando ci saranno la masterizzazione e il mixaggio. Lo studio è già prenotato, quindi non possiamo sgarrare. Poi stiamo lavorando al tour per l’anno prossimo, concerti e partecipazioni a festival. Sì, c’è un bel po’ di carne al fuoco».

La sfida di organizzare un tour in Asia... stando in Ticino

Creare a tavolino una tournée dall'altra parte del mondo non è un'impresa facile: ci sono moltissime variabili da considerare e la quantità di cose che potrebbero andare storte è tale da non far dormire la notte. Abbiamo quindi chiesto come si gestisce un tour in Estremo Oriente a chi l'ha fatto per i Dreamshade, ovvero a Michele Gatti di Horang Music.

Come si organizza una tournée dall'altra parte del mondo?

«Prima di partire dal “come” inizio dal “perché”: è importante per prima cosa domandarsi se ha senso fare un tour e definire l’obiettivo. Secondo me un tour da headliner in un altro paese ha senso nel momento in cui c’è una base di mercato e si vede un segnale di interesse da parte del pubblico. Il tour ha lo scopo poi di fidelizzare e ovviamente ad allargare la fanbase. I Dreamshade negli anni sono stati in grado di generare interesse in diverse parti del mondo: dagli Stati Uniti alla Cina, dal Sudafrica alla Svezia. Hanno uno show solido e alla base c’è la scrittura dei brani: per me la cosa più importante, sono le fondamenta. Concerto dopo concerto devo dire che si sono fatti apprezzare dal pubblico e dagli addetti ai lavori, come artisti ma anche come persone, in tour bisogna anche ovviamente sapersi comportare. La somma di questi e altri elementi sono la base per iniziare un possibile dialogo con i vari organizzatori fuori dalla Svizzera. Per una band partire dal “facciamo un tour in.." può rappresentare in molti casi anche una perdita di tempo in termini di reali benefici: può essere un’avventura fine a se stessa se non ci sono basi solide e una visione a lungo termine. Se invece ci sono dei presupposti per un tour allora la cosa migliore è cominciare a capire chi sono i possibili promoter locali, studiare il mercato nel paese dove si vuole andare in tour, magari chiedere a chi ci è già stato e poi iniziare un dialogo con le agenzie. La parte fondamentale è comprendere se e quanto sono affidabili gli interlocutori. In Asia abbiamo trovato il migliore dei partner possibili: conosce il mercato asiatico, è affidabile e ha dei collaboratori che sono dei professionisti. Non potevamo trovare di meglio».

Quali sono le principali difficoltà?

«Ogni tour ha difficoltà diverse proprio perché ogni paese è diverso. Certamente è importante avere il maggior numero di informazioni sul paese di destinazione: alcuni paesi comunicano attraverso social media diversi da quelli che usiamo qui, è importante capire se le distanze tra una data e l’altra sono affrontabili, il miglior mezzo per spostarsi, definire il prezzo corretto del biglietto, capire le tempistiche per eventuali visti e permessi, controllare prima se i club sono adeguati a livello tecnico eccetera. Per questo è importante trovare dei partner locali affidabili e con esperienza».

Ci sono stati degli inconvenienti? Se sì, come li hai risolti?

«Gli inconvenienti capitano e fanno parte di questo e di altri lavori. Si cerca di prevedere ogni problema ma ci sono situazioni in cui le cose sono da risolvere in quel preciso istante e anche alla svelta. Se l’inconveniente è risolvibile si analizza il problema tutti insieme e in modo freddo si prende una decisione. Le soluzioni in linea di massima si trovano, a patto che tutte le persone coinvolte siano adulte, responsabili e ragionevoli. Con i Dreamshade è proprio così».

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