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CANTONEUn nuovo caso per la detective bellinzonese Delia Fischer

05.07.19 - 06:01
Dopo “Rossa è la neve” (2017), la scrittrice e giornalista Monica Piffaretti da qualche giorno ha riportato in libreria la detective bellinzonese Delia Fischer in “Nere foglie d’autunno”
Un nuovo caso per la detective bellinzonese Delia Fischer
Dopo “Rossa è la neve” (2017), la scrittrice e giornalista Monica Piffaretti da qualche giorno ha riportato in libreria la detective bellinzonese Delia Fischer in “Nere foglie d’autunno”

BELLINZONA - Delia Fischer, in "Nere foglie d'autunno" (Salvioni Edizioni), si ritrova al cospetto di un caso che vede coinvolto un facoltoso anziano tedesco ucciso da due colpi di pistola sparati al cuore nel centro di Bellinzona. Si tratta del terzo omicidio della serie. L’arma è sempre la medesima, una P-38 della seconda guerra mondiale.

Monica, dove cerchi l'ispirazione? Da altri racconti, dai film, dalla cronaca nera?

«La mia professione è quella di giornalista: un mestiere che porta a sviluppare un occhio attento e curioso sull’attualità e la società in trasformazione. Come fossero pagine di un grande libro, leggo la realtà e le storie del genere umano. Sono tante, belle e brutte, e gli spunti un’infinità».

Come nel precedente romanzo (e forse un po' di più) c'è un background storico-storiografico notevole. Fai molte ricerche prima di iniziare a scrivere?

«In “Nere foglie d’autunno” ho avuto un testimone diretto: mio padre, che ha assistito da ragazzino ai fatti di Chiasso, ovvero alla resa dei tedeschi alla frontiera italo-svizzera nel 1945. Un evento che da bambina più volte mi ha raccontato. Ne ho capito la portata soltanto studiandolo. Sì, prima di tessere l’intrigo mi immergo nel periodo storico che mi interessa e metto a fuoco gli eventi che diventano poi tela di fondo del giallo. Nel “tuffo” libri e documentari mi aiutano».

Quali, secondo te, i pro e i contro dell'ambientare un racconto nel nostro territorio?

«Il vantaggio principale è che ci vivi dentro, che lo conosci sotto tanti punti di vista. Non solo geografico, ma anche sociale, storico, emotivo. Il territorio è dentro di me. Io ne faccio parte ed è più facile dipingerlo. Lo svantaggio è che ti leghi a un angolo del pianeta, ma questo aspetto è ormai superato. I gialli locali piacciono anche oltre i confini nei quali sono ambientati. E chi lo sa di preciso dove si trovano le foreste o le vie dove transitano i personaggi di maestri/e del genere come Fred Vargas o Camilla Lackberg? E poi capita di incontrare i lettori anche per strada».

E con Delia come ti ci ritrovi? Possiamo definirlo un tuo alter ego?  

«Sì e no. Non volevo un alter ego. L’ho fatta apposta piccola, cicciottella, zucchero-dipendente, bionda, capelli corti, “single-ma-però”. L’ho inventata tenace, ironica, incasinata, cartesiana, ma anche intuitiva. Poi mi sono accorta che in lei ci ho messo anche un po’ di me. I pensieri, le passioni, le rabbie, le speranze, gli ideali, l’affetto per “les petit-gens”, che non faranno mai le prime pagine, ma che hanno tanto da raccontare. Come Debbie, la ragazza punkabbestia che nel nuovo romanzo gira con un cane di nome Sam. Una dura, in realtà, tanto fragile quanto dolce e con un suo segreto».

 

 

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