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CANTONEDirty Panda, del buon rock per cambiare il mondo

24.04.19 - 06:01
Pubblicato in cd e in digitale alcune settimane fa “Pandaemonium”, il primo album del giovane gruppo ticinese Dirty Panda
Dirty Panda, del buon rock per cambiare il mondo
Pubblicato in cd e in digitale alcune settimane fa “Pandaemonium”, il primo album del giovane gruppo ticinese Dirty Panda

SEROCCA D’AGNO - Sulle scene dal 2015, il sestetto - attualmente condiviso da Alex Rémy (voce, chitarra), Beck (chitarra), Thomas (chitarra), Maura (basso, cori), Stan (tastiere) ed Elia (batteria) - si muove egregiamente tenendosi in perfetto equilibrio tra hard rock ed heavy metal. A documentarlo, oltre ai numerosi live set tenuti nel corso dei quattro anni di attività dentro e fuori i confini cantonali e nazionali, le nove tracce che completano l’esordio discografico. Un disco da ascoltare dall’inizio alla fine, senza interruzioni, in attesa di vedere la band esibirsi il 4 maggio al Bar Pini di Biasca - in occasione di Musicalbar - oppure la settimana successiva, il giorno 11, tra le mura del Peter Pan di Bellinzona. 

Alex, perché Dirty Panda, innanzitutto?

«Beh, devo ammettere che non è stato affatto semplice scegliere un nome capace di mettere d’accordo tutti… (ride) Un giorno, seduti in sala prove, abbiamo fatto un po’ di brainstorming, buttando su un pezzo di carta tutto ciò che ci passava per la testa… A un certo punto è saltato fuori Dirty Panda e l’idea di rendere un animale normalmente tenero e coccoloso un po’ più “delinquente” ci è piaciuta. Inoltre, trovo che questo nome sia in grado di rispecchiare un po’ anche i testi che proponiamo…».

Quando hanno iniziato a prendere forma i nove pezzi?

«Non appena è stata definita la prima line-up, abbiamo elaborato una canzone alla volta per raggiungere le nove attuali in circa nove mesi. Il tocco finale, però, è merito di Elia - con noi da poco più di un anno - che ha dato un “tiro” diverso a ognuno dei brani».

Vuoi entrare nello specifico delle vostre maggiori influenze musicali?

«A livello di tastiere, citerei sicuramente Jon Lord (Deep Purple): dal mio punto di vista, si possono facilmente intuire delle analogie con qualche sonorità e arrangiamento di “Machine Head” (Purple Records, 1972). Non manca nemmeno un’importante influenza punk rock - Green Day, Ramones… - legata alle chitarre ritmiche. Dalla chitarra solista trasuda invece spesso molto rock blues, mentre la batteria segue a ruota con ritmiche di indirizzo hard rock anni Ottanta. Per quanto mi riguarda, quando si tratta di dare un tocco personale agli arrangiamenti, metterei in primo piano gli Iron Maiden - la band che prediligo in assoluto -».

I testi denunciano vari aspetti. Vuoi analizzare, in primis, le strofe della sesta traccia, “T.R.U.M.P.”?

«In questa canzone prendiamo come riferimento uno dei politici più discussi degli ultimi anni, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. In poche parole contestiamo le sue ideologie e le sue pratiche scorrette, interrogandoci su come abbia fatto a salire al potere. Una persona così, a nostro parere, può nuocere sia alla sua nazione, sia al mondo intero, come sottolineiamo, del resto, nel ritornello: «America will fall down with the rest of the world». Consideriamo Trump una persona poco colta, instabile, che continua a cambiare idea, pensando soltanto ai propri interessi e non a quelli del suo popolo. Per questo motivo lo cataloghiamo come potenziale terrorista: «With all those weapons, it’s like giving a terrorist a nuclear bomb»».

A quale altro politico potreste dedicare un altro pezzo?

«Con “T.R.U.M.P.” abbiamo preso un esempio lampante di quello che non va al giorno d’oggi nella nostra politica e nella nostra società, ma un testo simile potrebbe essere dedicato alla maggior parte dei politici in carica ai giorni nostri, che pensano solamente ad arricchire le proprie tasche a scapito dei cittadini. Il tema dell’inquinamento, ad esempio, è molto attuale, e la politica, in questo caso, dovrebbe essere rappresentata da persone più giovani, che vivranno ancora a lungo e che non vogliono vedere la terra sgretolarsi sotto i loro occhi...».

Che vuoi dirmi di “Ready To Kill”?

«Anche qui il tema dominante è la politica e le decisioni prese dall’alto. Denuncia la vulnerabilità del nostro (eco)sistema, attualmente in mano alle persone sbagliate. È un inno nato con l’intento di spingere la gente a reagire e a differenziarsi dal “gregge”. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, “Ready To Kill” (“Pronti a uccidere”) è da prendere più in senso figurato: in questo caso le “armi” da “caricare” non sono pistole o bombe, bensì parole e atteggiamenti, che, concretizzati, potrebbero davvero cambiare le cose».

E di un pezzo come “Little Slut”, invece?

«Al giorno d’oggi, purtroppo, ci sono ancora uomini che considerano le donne esclusivamente come oggetti di piacere, concepite solamente per soddisfare i loro desideri più perversi. “Little Slut” è una canzone molto esplicita che mette a nudo questa realtà e descrive, in prima persona, ciò che potrebbe accadere dentro una mente ottusa…».

 

 

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