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INTERVISTAScrive libri e fumetti, «ma solo quando non c'è internet»

15.02.19 - 06:01
Davide Calì è un illustratore italo-svizzero. I suoi libri vengono letti in più di 30 Paesi. Ora arriva a Muralto per FestivaLLibro il 16 febbraio
Davide Calì - Art Director
Scrive libri e fumetti, «ma solo quando non c'è internet»
Davide Calì è un illustratore italo-svizzero. I suoi libri vengono letti in più di 30 Paesi. Ora arriva a Muralto per FestivaLLibro il 16 febbraio

Davide Calì è un autore italo-svizzero di libri per bambini. Ha cominciato la sua carriera come fumettista, decollando poi nella vicina Francia come affermato autore per bambini. Le sue opere sono attualmente tradotte in oltre 30 Paesi. L’autore mondiale arriverà sabato 16 febbraio a Locarno, dove terrà un atelier di scrittura in occasione della nuova manifestazione letteraria FestivaLLibro.

C’è un particolare fumetto che l’ha convinta ad intraprendere la carriera di fumettista?

No, non credo. Sono cresciuto con i fumetti, quindi ad un certo punto è stato normale pensare di fare questo mestiere.

Come si passa da fumettista a scrittore di libri per l’infanzia?

C’è stato un evento scatenante. Una mostra in Francia mi ha fatto scoprire i libri francesi per bambini. Sono molto diversi da quelli italiani, presentano una maggiore varietà in tutto: temi affrontati, stili grafici, formati. Questa varietà mi corrispondeva maggiormente e mi sono reso conto che anche io avrei potuto raccontare storie per bambini.

Come nascono i suoi personaggi e le sue storie?

Domanda difficile… Nascono sempre in modo spontaneo. Penso siano un impasto di tutte le mie passioni e di tutto ciò che mi è piaciuto, come cinema, libri, cartoni animati, videogiochi.

Quali momenti predilige per scrivere?

Vivo perennemente in tour tra Francia, Svizzera, Spagna, Portogallo, Inghilterra e altri paesi. Inoltre lavoro per molti editori e tengo corsi di continuo. Per cui, ho parecchia difficoltà ad organizzare il lavoro e scrivo solo quando ho tempo. Solitamente lo faccio molto bene quando non c’è wifi, spesso negli spostamenti. Scrivere non mi richiede comunque molto tempo: mi bastano trenta minuti o un’ora alle volte.

Nei suoi lavori per l’infanzia, ci sono dei temi che le stanno particolarmente a cuore?

Mi verrebbe da dire “no”. Ma chiunque leggesse i miei libri noterebbe alcuni temi che tornano: amore, amicizia, condivisione e anche temi un po’ duri e drammatici come la guerra. Un pochettino anche l’immigrazione.

A chi si ispira? Qualche mito sul comodino?

In questi giorni ci ha purtroppo lasciati Tomi Ungerer, grandissimo autore francese. Con il suo lavoro, pur non essendoci mai incontrati, mi ha spinto a cimentarmi nei libri per bambini. Tra le opere che vidi a quella mostra in Francia c’erano parecchi suoi lavori, che ho anche acquistato. Ungerer è stato un modello che ho molto tenuto in considerazione.

Una delle sue opere di cui è particolarmente fiero?

Piuttosto che “fiero”, mi definirei “contento” delle mie opere. Alcuni miei libri hanno avuto più successo di altri, ricevendo anche molti premi. Un esempio? “Moi j’attends”, di cui sono molto orgoglioso e dopo il quale tutti sapevano chi ero. Personalmente, apprezzo tutti i libri che faccio.

Teme anche lei il cosiddetto “blocco dello scrittore”?

In realtà no. Non so in cosa consista e non ho mai avuto a che fare con qualcuno bloccato. Capita invece che colleghi illustratori non riescono ad avanzare nei progetti. Questo succede a molte persone che vengono ai miei corsi: hanno tante idee ma non riescono a concretizzarle. Il “blocco” appartiene forse più ai romanzieri.

Che effetto le fa sapere che la sfogliano in più di 30 paesi?

È una cosa un po’ difficile da percepire. Quando leggi le cifre dei libri che vendi è piacevole ma rimane tutto molto astratto. È più facile rendersi conto di cosa provochi al singolo bambino che arriva e ti dice che ha letto il tuo libro e ha provato un certo tipo di emozioni. In quel momento ti rendi conto che quello che fai come autore va al di là del tuo controllo e delle tue aspettative. Ogni lettore vive il libro come un’esperienza personale. Il contatto diretto è la vera misura di quello che fai.

Se fra i nostri lettori qualcuno intende lanciarsi verso questa professione, quale consiglio si sente di dare?

Spesso chi scrive legge poco. Per cui leggete tantissimo, e coltivate i vostri interessi e le vostre passioni. Questo lavoro va cominciato immergendosi completamente: studiate l’ambiente professionale, andate alle fiere e conoscete gli editori. La tendenza di molti è, come quando finita l’università, spedire ovunque il proprio curriculum. In realtà bisogna prendere la mira. Gli editori non leggono molti manoscritti e, perchè ne sono invasi, non rispondono quasi mai. E se vi piace scrivere e disegnare, fatelo.

Lei è nato in Svizzera, che legami ha con questo territorio?

I miei genitori erano parte di quell’ondata di migranti che negli anni ‘60-’70 ha lasciato l’Italia per stabilirsi in altri Paesi. Io sono nato nella Svizzera tedesca, dove ho vissuto fino ai cinque anni di età. Poi, non sono più tornato. Ho frequentato maggiormente la Svizzera francese, dato che è vicina alla Francia, dove i miei libri sono molto diffusi. Questo weekend a Muralto è invece la prima volta che vengo nella Svizzera italiana.

 

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