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CANTONE“Mario”, quell'amore gay nel pallone: «Un tabù che va combattuto»

10.08.18 - 06:00
Il film del sangallese Marcel Gisler racconta una liaison omosessuale fra le fila dello Young Boys, il regista a Locarno: «Non tutti i club ci avrebbero detto sì»
Locarno FIlmFestival
“Mario”, quell'amore gay nel pallone: «Un tabù che va combattuto»
Il film del sangallese Marcel Gisler racconta una liaison omosessuale fra le fila dello Young Boys, il regista a Locarno: «Non tutti i club ci avrebbero detto sì»

LOCARNO - Una storia d'amore fra due giovani promesse dello Young Boys, "Mario" film del sangallese Marcel Gisler è uscito a inizio 2018 ed è stato accolto bene dalla critica internazionale. Questo agosto è arrivato fino al Pardo dove è stato proiettato nella sezione Panorama Suisse.

Eppure, riuscire a portare il progetto sul grande schermo è stata una piccola grande impresa: «I produttori mi dicevano: i film di sport non vendono bene e nemmeno quelli a tema lgbtq, figurarsi un film gay sportivo!», sdrammatizza ridendo Gisler, «poi però alla fine ce l'abbiamo fatta, anche grazie al sostegno di diversi partner svizzeri».

La storia, una liaison omosessuale in una squadra di club, come ci siete arrivati?

È un'idea di un mio collaboratore (Thomas Hess, ndr.), devo dire che quando me l'ha proposta circa 8 anni fa io ero ben più che scettico. Francamente pensavo fosse un argomento trito e ritrito, scontato.

Poi ho fatto ho un po' di ricerche e ho scoperto che invece non era così. Un altro freno per me è stato il fatto che i film sportivi sono molto difficili e costosi da fare, avevo paura che il tutto alla fine sembrasse ridicolo.

A convincermi alla fine è stata proprio la sceneggiatura, sulla quale abbiamo lavorato molto, era una storia che voleva e doveva essere raccontata.

L'ambientazione: Berna e lo Young Boys, com'è nata la collaborazione?

Ci siamo rivolti direttamente all'Associazione svizzera di football, devo dire che ci siamo presentati al meeting molto preoccupati, non sapevamo cosa aspettarci! Loro però ci hanno accolto con grande entusiasmo e ci hanno indicato una lista di club che avrebbero potuto fare al caso nostro. Ci hanno anche indicato una serie di squadre che era meglio invece non interpellare per via del loro managing fortemente conservatore.

Lo Young Boys è stata un po' una scelta naturale anche perché Max (Hübacher, il protagonista ndr.) è proprio di Berna, è un tifoso, e ha l'accento giusto. Insomma, calzava a pennello!

Il club ci ha supportati tantissimo, ci ha messo a disposizione il campo per gli allenamenti, lo stadio e anche le casacche. Ero un po' preoccupato, temevo non volessero che si vedesse il logo ufficiale e invece si sono fatti avanti loro: «Ma se per il film vi dessimo le nostre maglie ufficiali?» (ride).

Parlando proprio dei due attori protagonisti, come si sono avvicinati al film? Ci sono diverse scene di nudo e di sesso...

Loro erano super motivati sin dall'inizio, io al colloquio gliel'ho detto subito: «Ma avete letto il copione? Ci sono scene di sesso, non è un problema per voi?». E loro mi hanno detto «No, no, assolutamente» e io ho risposto: «Ok, allora fatemi vedere come vi baciate». E loro lo hanno fatto! 

Capita che alcuni attori e attrici dicano «per me non c'è nessun problema», ma invece non è così e lo si vede subito. Anche se sono cose che si imparano a scuola di recitazione non è detto che tutti ce l'abbiano dentro di sé o ci sia la giusta chimica con il partner sul set. Max e Aaron (Altaras, ndr.) ce l'avevano e, secondo me, "passa" attraverso lo schermo.

Con gli anni mi sembra che da sottogenere, i "film d'amore lgbtq" si siano un po' tolti di dosso un'etichetta, diventando semplicemente "film d'amore". Cosa ne pensi? 

Penso che con gli anni effettivamente le cose siano cambiate parecchio, a partire da "Brokeback Mountain" in poi c'è stata una grande apertura. Il conflitto si è spostato più dall'esterno - ovvero con l'ambiente e la società apertamente ostile - all'interno dei personaggi stessi: un conflitto interiore, diciamo.

Un esempio può essere "Call me by your name" di Guadagnino, ma anche in "Mario" c'è. Uno dei motivi per cui ho voluto fare questo film è proprio perché vi è una stratificazione di conflitti diversi legati all'omosessualità, sì, ma non solo.

Eppure nel mondo dello sport, soprattutto in quelli di squadra e maschile, l'omosessualità rimane un tabù...

Secondo me i motivi sono principalmente due: uno e quello machista che associa la performance sportiva alla forza, alla potenza e all'efficienza. In questi ambienti l'omosessualità è percepita invece come debolezza, remissività e "eccessiva complicazione". Ovviamente è una sciocchezza, pensate a Thomas Hitzlsperger (calciatore tedesco e poi dirigente gay dichiarato, ndr.): lo chiamavano "il Martello"!

Il secondo invece, e qui parlo per il professionismo, l'omosessualità nel "prodotto calcio" oggi non si vende, punto. Se un giocatore fa coming-out rischia seriamente la carriera. Lo stesso Hitzlsperger ha dichiarato: «Io a un calciatore gay consiglierei di non fare outing finché gioca».

È una tematica, questa, che ovviamente troviamo anche in "Mario" e che per me era importante trattare per sensibilizzare il pubblico, è un tabù che va combattuto. Lo so bene che con un film non si può cambiare il mondo, ma ogni piccolo pezzo del puzzle è importante.

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