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CANTONE / ITALIAThe Bastard Sons of Dioniso e il prezzo della libertà

17.05.18 - 06:01
Sabato a Bellinzona la band trentina che, per una scelta di di coerenza artistica, è uscita dal giro delle major. Ne ha risentito la visibilità, ma «quello che vogliamo fare è la nostra musica»
The Bastard Sons of Dioniso e il prezzo della libertà
Sabato a Bellinzona la band trentina che, per una scelta di di coerenza artistica, è uscita dal giro delle major. Ne ha risentito la visibilità, ma «quello che vogliamo fare è la nostra musica»

LUGANO - Dopo il recente showcase a Rete Tre della RSI c’è una nuova data ticinese per The Bastard Sons of Dioniso: sabato 19 maggio al Woodstock di Bellinzona. Abbiamo colto l’occasione per scambiare due battute con Jacopo Broseghini, basso e voce della band trentina che ha già sette album all’attivo, oltre a svariate centinaia di concerti dal vivo.

Salvador Sobral ha detto negli scorsi giorni di essere stufo di essere identificato come “quello che ha vinto l’Eurovision Song Contest” l’anno scorso. A voi capita ancora di essere chiamati “quelli che sono usciti da X Factor”?

«Ma sì, tante persone che alla fine hanno avuto altro a cui pensare lo fanno. Non vogliamo neanche essere il primo pensiero di chi ci ascolta, ma sono le persone superficiali che dicono così. Chi ci ascolta con costanza si è appassionato per quello che facciamo veramente, quindi per il contenuto, ha preso le nostre canzoni e le ha fatte diventare sue».

Non vi dà particolarmente fastidio, quindi…

«Se fosse una cosa di vitale importanza forse mi offenderei e mi arrabbierei. Ognuno è libero di fare e ascoltare quello che vuole. Alla fine (X Factor, ndr) lo abbiamo fatto per essere conosciuti. C’è chi si è fermato lì e chi è andato oltre. Noi suoniamo per chi l’ha fatto e anche per chi non l’ha fatto, che avrà tempo e modo di riscoprirci e riconoscerci».

Cosa vi è rimasto del talent?

«Siamo stati parte di un momento televisivo italiano che era basato sul divertimento e la leggerezza. Forse all’inizio fare un po’ gli stupidi può sembrarti una cosa strana, ma dare un po’ di felicità e di leggerezza a questo mondo sempre pieno di problemi è una cosa che non avevamo colto all’inizio ma che abbiamo apprezzato solo in seguito. Se qualcuno si ricorda di noi per X Factor è perché lo abbiamo fatto divertire e sorridere».

Con “Cambogia” siete tornati a un rock senza compromessi: come è stato ricevuto dal pubblico e dalla critica?

«Tutti ne hanno parlato bene. Forse la nostra unica difficoltà, avendo fatto una scelta molto indipendente, è di trovare spazi come quelli che abbiamo trovato in Svizzera ultimamente. Avere qualcuno che ti sponsorizza in questo mondo non è così semplice. Facendo la nostra musica abbiamo tolto un po’ d’interesse d’investire (da parte delle major, ndr): non vendendo più dischi gli conviene avere artisti che cantano le canzoni che vengono date loro. Ma se questo è il prezzo della libertà lo paghiamo stravolentieri. Il nostro piano è di andare avanti facendo quello che ci appassiona e ci diverte, restando quello che siamo. Finché non troveremo qualcuno che vorrà lavorare sulla nostra musica noi con le major avremo sempre un limite».

Le cose potrebbero cambiare?

«Oggi purtroppo c’è tanto marketing, tanta immagine, uso dei social. Oppure si parla di contenuti assurdi, bassissimo valore. Tanti fanno canzoni ascoltate da 12enni ma hanno contenuti da mettersi le mani nei capelli. Forse ci sarà sempre una fetta di mercato commerciale, ma quando le persone si renderanno conto di essere state prese in giro non se la faranno passare liscia».

Come avete scritto sul vostro sito, siete “Bastardi di nome ma non nell’animo”: sostenete infatti molte iniziative benefiche. C’è qualche progetto in corso?

«Siamo testimonial di ADMO, l’associazione donatori midollo osseo. Io sono anche donatore effettivo: ho trovato una corrispondenza con una persona che aveva bisogno della mia donazione e ho compiuto il procedimento dall’inizio alla fine. Per noi che abbiamo un palco a disposizione questa è una cosa bella, chi ha la possibilità di essere ascoltato può convogliare il messaggio verso qualcosa di più alto e serio. Gli enti che abbiamo appoggiato non li abbiamo mai cercati, ma ci hanno contattato loro. Chi aveva bisogno di attenzione ci ha chiesto una mano. Non si può far finta di niente, una volta che sei informato: sarebbe come dire “non m’interessa”. Il concerto può essere sì un momento di svago, ma avere qualcosa di serio da raccontare e da far conoscere è importante. È una cosa a cui teniamo molto».

Ho letto di una polemica che vi ha visti coinvolti, vostro malgrado, per le riprese del video di “Venti tornanti” sulla vetta di Cima Tosa, nelle Dolomiti del Brenta. Siete stati accusati di sfregiare la montagna, e cose del genere...

«È una follia e una pugnalata al cuore. L’unica cosa che inquina che abbiamo fatto è essere andati in cima con l’elicottero. Ma anche chi costruisce gli impianti di risalita e trasporta il materiale li usa. Siamo finiti in una querelle tra chi gestisce il parco, la Provincia e la politica. Ci ha dato un po’ fastidio perché non vogliamo essere strumentalizzati in vista delle prossime elezioni. È un peccato che si sia dato spazio alla polemica, non si sia parlato del lato artistico - con tutte le difficoltà tecniche di girare un video a più di tremila metri - e la vera discussione, su come si può rispettare la montagna, sia andata persa».

Siete venuti più volte a suonare in Canton Ticino: vi piace l’ambiente e il pubblico ticinese?

«Sì, molto. Si vede che c’è una sensibilità diversa rispetto alle grandi città, con tanta proposta più dispersive. Nei centri minori invece c’è più attenzione alle cose che capitano. Ci piace molto tornare in Svizzera e cerchiamo di fare il meglio possibile per far passare una bella serata alle persone che ci hanno dedicato il loro tempo».

Cosa proporrete nel concerto di sabato?

«Negli anni, vedendo le reazioni della gente, abbiamo affinato il repertorio togliendo magari delle canzoni che ci piacevano tantissimo ma che possono abbassare in qualche modo l’attenzione. È servita tanta autocritica ma di anno in anno lo show è diventato sempre più coinvolgente. Facciamo anche quelle canzoni che siamo un po’ stufi di suonare, ma noi siamo tutti i giorni ai nostri concerti, mentre le persone vengono una sola volta ed è come se fosse sempre nuovo per loro. Si spazia dai brani dei primissimi tempi fino ad alcune cover di canzoni che ci sono sempre piaciute e poi i brani di “Cambogia”. Ci abbiamo messo un po’ di tempo, ma funziona bene!».

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