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CANTONE«Disegnare? È come andare dallo psicoanalista»

19.09.17 - 06:01
Stefano Frassetto sarà uno dei protagonisti della Fiera del Fumetto 2017, in programma al Palazzo dei Congressi di Lugano dal 22 al 24 settembre
«Disegnare? È come andare dallo psicoanalista»
Stefano Frassetto sarà uno dei protagonisti della Fiera del Fumetto 2017, in programma al Palazzo dei Congressi di Lugano dal 22 al 24 settembre

LUGANO – Classe 1968, torinese, da sei anni a questa parte, matita alla mano, con “35 MQ” e “Ippo” porta del sano e genuino buonumore nelle pagine di 20 minuti.

Tra pochi giorni avremo modo di incontrarlo alla fiera luganese – quest’anno dedicata a Diabolik -, impegnato come sceneggiatore in un workshop con Roberto Rinaldi (disegnatore), Marina Sanfelice (letterista) e Tino Adamo (correttore e illustratore).

Stefano, chi è per te Diabolik?

«Diabolik è uno di quei personaggi con cui - insieme a Tex Willer e Zagor -, attorno alla metà degli anni Settanta, mi avvicinai al mondo del fumetto. Diabolik, rispetto agli altri, veniva considerato un pochino più da adulti e quindi, già di per sé, più affascinante…».

Alla fiera, con tre colleghi, terrai il workshop “Disegnando Diabolik”. Improvviserete?

«Penso proprio di sì, anche perché non sono previste riunioni preventive. Magari ci sentiremo qualche giorno prima per vedere come muoverci...».

Da qualche tempo il fumetto è finito in rete. E forse era inevitabile.

«La striscia, come sai, è nata all’inizio del Novecento e all'epoca era unicamente legata alla stampa quotidiana. Negli Stati Uniti, dove il fenomeno era molto radicato, sono andati avanti, direi, fino all’inizio del nuovo Millennio. Poi, con la crisi della carta, la striscia è sbarcata sul web, in particolare sui social media, diventando, se vogliamo, anche più personalizzata. Da quanto ho potuto notare, soprattutto qui in Italia, quando il fumetto però raggiunge un certo tipo di successo, un successo virtuale, si torna alla carta e viene stampato: ci sono casi abbastanza eclatanti, tipo Zerocalcare, che sostanzialmente è partito da un blog…».

Raccontami ora delle strisce di 20 minuti, “35 MQ” e “Ippo”. Da dove provengono gli spunti caratteriali dei personaggi?

«“Ippo” è legato al mondo dell’infanzia, ed è un personaggio un po’ autobiografico… Alla fine, se vuoi, le strisce sono anche delle sedute di psicoanalisi… (ride) In pratica, vai a ripescare nella memoria ricordi e frustrazioni: in qualche modo, tornano a galla difficoltà, così come sintomi di inadeguatezza e di imbarazzo... Si dice spesso che “Ippo” sia un po’ come Charlie Brown: ed è così, ma non perché un giorno io abbia deciso di copiarlo, bensì, semplicemente, per il fatto che, dopo avere studiato a lungo la biografia di Schulz, mi sono accorto di avere avuto un’infanzia simile, o molto simile direi, alla sua… “35 MQ”, invece, è una striscia nata fin dall’inizio con l’intento di rappresentare un’altra fascia di età, universitaria e post-universitaria: qui mischio le esperienze di molti amici, che andavano a convivere e faticavano a condividere gli spazi vitali...».

Una striscia di “35 MQ” o di “Ippo” in quanto tempo viene alla luce?

«Calcolerei non più di due ore, dall’idea alla realizzazione... Come puoi immaginare, la parte più difficile è l’idea di partenza, che cerco di trovare appena sveglio, prima di prendere il caffè. È il momento migliore, perché ti ritrovi in quella fase ancora un po’ onirica, non hai barriere razionali eccessive e la fantasia viaggia più velocemente…».

So che collabori anche con La Stampa, Libération e Le Temps…

«Realizzo soprattutto dei piccoli ritratti che vanno a sostituire le fotografie negli articoli degli editorialisti… Per Le Temps, inoltre, mi occupo anche di ritratti più grandi, a colori, destinati alle pagine culturali del fine settimana…».

Torniamo un po’ indietro: immagino tu abbia iniziato a disegnare da bambino…

«Beh, sì, nei primi anni delle elementari. Se volevi dire delle cose, all’epoca, disegnavi o scrivevi. Non c’era YouTube…».

Quando hai capito che la passione si sarebbe potuta trasformare in una professione?

«Ho iniziato a creare le prime strisce durante il primo anno di politecnico. Calcola che si parla del 1987-1988 e di carta stampata ce n’era ancora in abbondanza. Di conseguenza, potevi proporti a tante riviste e, sparando nel mucchio, alla fine, qualcosa centravi… All’inizio degli anni 2000, poi, sono arrivato al Giornalino…».

Quali consigli daresti a un giovane fumettista?

«Di tenere sempre gli occhi sulla carta stampata, più che sulla rete, ampliando il raggio d’azione, tra fumetto e illustrazione…».

 

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