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CANTONE«La musica ribelle? C'è ancora ed è lì da scoprire»

16.03.17 - 06:01
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Eugenio Finardi, che martedì si è esibito negli studi Rsi di Lugano-Besso, nell’ambito degli Showcase di Rete Uno
Foto eugeniofinardi.it
Eugenio Finardi, 64 anni.
Eugenio Finardi, 64 anni.
«La musica ribelle? C'è ancora ed è lì da scoprire»
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Eugenio Finardi, che martedì si è esibito negli studi Rsi di Lugano-Besso, nell’ambito degli Showcase di Rete Uno

LUGANO - Finardi è di spalle, ma lo riconosco. Inconfondibile il cappello che indossa da qualche tempo a questa parte. È seduto al bar e sgranocchia uno snack.

Lo scorso mese di ottobre ha dato alle stampe (in cd e in vinile) “40 anni di Musica Ribelle” (Universal Music), un cofanetto che raccoglie le versioni rimasterizzate dei suoi primi cinque album, originariamente pubblicati dall’etichetta Cramps: “Non gettate alcun oggetto dai finestrini” (1975), “Sugo” (1976), “Diesel” (1977), “Blitz” (1978) e “Roccando rollando” (1979).

Da qui inizia la nostra chiacchierata, con un aneddoto molto curioso legato proprio a “Musica ribelle”, canzone-simbolo per più generazioni che apre “Sugo”: «Avevo appena ricevuto dall’etichetta il test pressing dell’album e Jacky, Jacky Marti, mi invitò qui a Lugano: la prima volta che ascoltai la canzone su vinile fu a casa sua, con un giradischi Thorens», ricorda.

Eugenio, oggi, secondo te, esiste ancora una musica ribelle?

«In Italia ci sono gruppi come Lo Stato Sociale e I Ministri che, devo dire, picchiano duro. Ancora di più di quanto facevamo noi quarant’anni fa. Poi ci sono i rapper, ribelli per natura: peccato sprechino le loro energie a litigare tra di loro...».

Qualcosa, comunque, non credi si sia affievolito?

«Si è affievolito l’interesse. Noi avevamo accesso ai grandi circuiti, anche perché erano molti di meno, e oggi, con una comunicazione talmente focalizzata sul mainstream, la gente non si accorge più di realtà musicali come quelle di cui parlavo poco fa...».

Raccontami della tua amicizia con Demetrio Stratos…

«Conobbi Demetrio nel 1972, alla Numero Uno, quando firmai il mio primo contratto discografico. Era una persona incredibilmente sensuale: per lui le donne impazzivano. Era un magnete. Non era bello, ma era uomo, con questo suo torace possente. Io, in qualche modo, ero un po’ suo fratello minore... A parte questo, era un musicista straordinario, con questo suo  costante desiderio di cercare e sperimentare con la voce… Sono convinto che se non fosse morto sarebbe finito nell’ambito della musica contemporanea: nel periodo precedente alla sua morte aveva approfondito la sua conoscenza con John Cage…».

«È la musica, la musica ribelle, che ti vibra nelle ossa, che ti entra nella pelle»: a quali brani o a chi ti riferisci in modo particolare all’interno di questi versi?

«I brani sono infiniti… Potrei citare però Bob Marley, proprio per quel suo modo un po’ profetico di considerare la musica come un veicolo: un veicolo di liberazione, un veicolo di comprensione…».

 

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