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REGNO UNITOAnche i Gorillaz dicono la propria contro Trump

21.01.17 - 13:00
Hallelujah Money segna il ritorno della virtual band dopo quasi cinque anni di silenzio
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Hallelujah Money segna il ritorno della virtual band dopo quasi cinque anni di silenzio

LONDRA - I Gorillaz sono tornati, e non si tratta certamente di una novità per la virtual band britannica, che in passato, escludendo The Fall - che fu una sorta di esperimento a sé stante, imbastito utilizzando un iPad tra una data e l’altra dell’Escape to Plastic Beach Tour - ha sempre abituato il suo pubblico alle attese, affidandosi a lunghe pause di riflessione fra un disco e il suo successore. Quattro anni per Demon Days. Altri cinque per Plastic Beach.

Se i due illustri precedenti portavano però in dote le firme di “Feel Good, Inc.” e “Stylo”, “Hallelujah Money” sembra invece destinata ad occupare uno spazio secondario, nella penombra, all’interno della variopinta galleria musicale del “duo digitale”. È vero, questo non sarà il singolo ufficiale del nuovo disco, del quale sappiamo unicamente che «uscirà presto», ma è difficile negare che nel calderone di Damon Albarn e Jamie Hewlett qualcosa sembra non aver funzionato secondo la stessa alchimia dei giorni “demoniaci” che furono. Ricetta sbagliata o errore degli chef?

Difficile dirlo, ma digeriti i primi ascolti il pezzo lascia un insolito retrogusto, a tratti quasi insipido. Non fraintendete, il clima musicale che si respira, in tutte le sfaccettature che si avvicendano nei suoi 4 minuti e 30 secondi, è Gorillaz al 100%. Si percepisce il loro DNA. Il testimone però passa rapidamente nelle mani dell’eclettico Benjamin Clementine, che stenta ad attecchire alla nebbia elettronica e rarefatta di Hallelujah Money. Il suo momento migliore il brano lo vive infatti nell’ultimo terzo, quando lo "spoken word" del premio Mercury londinese perde la propria favella, cedendo il passo al possente incedere strumentale dei primi secondi, accompagnato dai morbidi vocalizzi di 2D.

In termini di impostazione concettuale il brano risulta invece ben oliato. Svelato, non a caso, a poche ore dall’insediamento del 45esimo presidente degli Stati Uniti, Hallelujah Money addita nelle proprie strofe il clima politico che ha incorniciato l’intero 2016, prendendo di mira l’eccessiva influenza del denaro e delle politiche razziali nella corsa alla Casa Bianca e narrando una cupa fiaba allegoricamente ispirata al “sogno americano” (e alle sue contraddizioni) promesso da Donald Trump, con tanto di mura bibliche e ombre "minacciose" provenienti dalle lontane terre d'oriente.

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