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CANTONENiccolò Fabi: «La gente ha ancora bisogno di canzoni "di marca"»

27.10.16 - 06:00
Il cantautore romano, fresco di un Tenco, arriverà allo Studio Foce a Lugano il prossimo 16 novembre. «Il Nobel a Dylan? Sono felicissimo»
Niccolò Fabi: «La gente ha ancora bisogno di canzoni "di marca"»
Il cantautore romano, fresco di un Tenco, arriverà allo Studio Foce a Lugano il prossimo 16 novembre. «Il Nobel a Dylan? Sono felicissimo»

LUGANO - Classe 1968, sempre la solita zazzera chiara (con qualche riflesso argenteo, ormai) e occhi azzurri che guardano oltre l'orizzonte. Niccolò Fabi il "phyisique du rôle" del cantautore ce l'ha ed è inutile negarlo che nel suo mestiere, nella sua arte, in Italia di bravi come lui ce ne sono pochi. Lo dice anche un Premio Tenco portato a casa lo scorso settembre con il suo ultimo (strepitoso) disco "Una somma di piccole cose", composto e certosinamente assemblato durante un ritiro autoimposto nella rurale e valligiana Campagnano a qualche chilometro dalla sua Roma. Proprio per presentare quel disco e in coda alla sua tournée europea, Fabi arriva a Lugano il 16 novembre prossimo allo Studio Foce. Una città che già ha visitato, che conosce «ma non bene».

Lugano, in passato ci hai già suonato, come ti è sembrata?

Bella (ride), da italiano mi fa un po' impressione però. Ci riconosco degli elementi familiari e altri che invece sono proprio stranieri. In un certo senso sembra di essere sia fuori dal confine che dentro... È una sensazione decisamente particolare.

Parliamo di "Una somma di piccole cose", come mai hai deciso di ritirarti in campagna per scriverlo? Al giorno d'oggi c'è troppo "rumore" nel mondo per fare dell'arte?

Diciamo che per questa del ritiro, per quanto riguarda la creatività, è una cosa abbastanza comune. Volersi allontanare da tutto quanto per sentire meglio quello che capita dentro di sé non è una così insolita. La grande differenza per questo disco è che non ho solo scritto e composto in solitudine ma ho anche realizzato e registrato da solo. Solitamente quando si fa questo lavoro in studio c'è sempre un confronto, dalla realizzazione dei "provini" fino al prodotto finito. Qui non c'è stato filtro, come li ho fatti a Campagnano poi sono stati riregistrati in studio: così la magia di quei "nastri" solitari non è stata persa.

Hai dichiarato più volte di apprezzare e trarre ispirazione dai nuovi cantautori folk, soprattutto americani...

Sì, sono quelli che hanno ripreso il discorso iniziale di gente come Dylan e Neil Young e l'hanno reso popolare su larga scala. Quell'elemento acustico un po' scanzonato che si trova anche in tante hit recenti viene da lì. Quello che di loro mi interessa e che ho un po' fatto mio, sono i suoni, le atmosfere e l'approccio compositivo che, oltre a sperimentare soluzioni, punta al sodo a alla sottrazione: dare di più con meno.

Alcuni di queste giovani nuove leve, penso a Bon Iver, hanno "mollato" la chitarra in favore dell'elettronica. Tu che ne pensi? È un'eresia o ti ci vedi a farlo?

Sì, perché no, mi ci vedrei a fare qualcosa del genere. Ma c'è sempre un grande vincolo che, nel mio caso, è dato dalla lingua italiana: è una cosa a cui tengo e che non voglio perdere. Il verso e la parola per emozionare devono sempre essere rispettati anche se non è semplice. Cantando in inglese è un po' più facile: se vogliamo fare una similitudine musicale l'inglese sta all'italiano come il sax sta... all'oboe!

Pensi che al giorno d'oggi il cantautore abbia ancora una funzione sociale? Tu al messaggio non ci rinunci - mi viene in mente il (bellissimo) singolo "Ha perso la città" - dici che "arriva" ancora?

Guarda, ad essere sincero mi verrebbe da dirti di no (ride). Cifre alla mano è innegabile che non siamo più nell'era d'oro del cantautorato italiano. È cambiato tutto ma a più livelli, il linguaggio radiotelevisivo e la stampa sorvola spesso e volentieri sui temi, diciamo, impegnati. È altrettanto vero però che, a dispetto del trend  - che vuole più prodotti ma meno di marca -  le persone continuano e continueranno sempre ad ascoltare le canzoni d'autore: è un mezzo per conoscersi meglio, magari sentendosele con calma, in intimità.

E il Nobel a Bob Dylan? Ti ha fatto contento?

Eccome, contentissimo. Era da tempo che lo si aspettava!

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