Gianna Nannini ci racconta il suo ultimo tour in arrivo a Lugano: «Un concerto rock-sinfonico senza precedenti». E rivela: «I talenti nascono a sud»
LUGANO - È una Gianna Nannini rock-sinfonica quella che domenica 10 e lunedì 11 aprile approderà al Palazzo dei Congressi con "Hitstory", il nuovo tour che segue l'uscita della omonima raccolta di hit. Una tournée teatrale che porta sul palco ben 40 anni di musica per scandire la carriera dell'artista rock italiana per eccellenza, in grado di farsi conoscere fuori dai confini del proprio Paese. Un'artista che, per sua stessa ammissione, deve molto anche alla Svizzera.
«Anche da un punto di vista musicale - ammette -. Prima ancora di conoscere l'ex manager, Peter Zumsteg, ero stata a Zurigo ad assistere a diversi festival rock. Lì ho scoperto qualcosa che in Italia ancora non c'era, un mondo che non conoscevo. All'epoca si andava a vedere i concerti, ma non certo con tende e sacchi a pelo. Questa atmosfera mi ha catapultato in un giro rock internazionale. Perché la Svizzera ha proprio questo volto "international", che scandaglia tutti i tipi di musica, di tutte le lingue. Lo stesso Zumsteg era alla ricerca di altre culture, diverse dalla sua».
Per te la Svizzera è solo musica, quindi?
"No, ci vengo a fare snowboard. Sono stata a Laax un po' di volte. E già da piccola venivo con mio padre per sciare».
Un successo enorme lo hai trovato anche nei paesi di lingua tedesca. Penso alla Germania, all'Austria... Come te lo spieghi?
«A nord delle Alpi sono molto più vicini a quello che è il mondo rock, anche se i talenti veri nascono al sud, dove si coltivano maggiormente le proprie tradizioni popolari. Se vai in Salento, per esempio, puoi trovare tranquillamente un 15enne che suona perfettamente sia la pizzica che un pezzo rock&roll. E fa entrambe le cose egregiamente. Questo atteggiamento è molto importante per il futuro stesso della musica, in quanto promotore di diversità e innovazione».
(A interrompere l'intervista è una vocina che si fa sempre più insistente) Sento la voce di Penelope, tua figlia. Ha quasi cinque anni. Quali sono gli insegnamenti che vuoi trasmetterle?
«Cinque e mezzo (precisa). Sono essenzialmente tre le cose che voglio insegnarle: la generosità, l'emozione e il coraggio».
E Gianna Nannini, che tipo di mamma è?
«Una mamma ganza, protettiva, ma anche rock. Una figa rock».
Ma come si fa ad essere una figa rock in un paese che si scandalizza per tutto?
«Da una parte è il problema di sempre dell'Italia, un paese in cui c'è il Vaticano che impone un certo modo di pensare. Dall'altra è vero pure che la mentalità sta cambiando senza che noi ce ne accorgiamo. Restano dei cliché, dei pregiudizi, ma non generalizziamo. Ci sono persone e persone».
Tornando al tour, questa volta niente palazzetti, ma teatri. Una dimensione che, ultimamente, sta andando di moda. Questo perché è più intima?
"Più intima e più rock. Ma all'estero non è una novità. In Italia invece la gente è abituata ad andare in teatro e a mettersi seduta. Non con noi. Arriviamo e poco dopo sono tutti in piedi come se si fosse in un palasport. Con la differenza che qui la resa è migliore perché tutto è concentrato e amplificato. E con un'acustica senza paragoni. Ti vengono i brividi».
Contemporaneamente c'è un cofanetto che racchiude la tua storia musicale.
«È un triplo cd che racchiude tutte le hit della mia vita. non a caso si chiama "Hitstory". Riassume tutte le epoche della mia carriera. Insomma, un pezzetto di storia della musica che va dagli anni '80 ad oggi».
A Lugano arrivi con due date, di cui una è già sold out. Cosa vedremo?
«Una band della madonna. Mai avute così tante persone sul palco. Abbiamo un sound rock-sinfonico pazzesco ed è una bellezza esibirmi con loro. Facciamo venire giù i teatri. Sono talmente entusiasta che mi sembra di essere tornata agli inizi della mia carriera. Bisogna venirci a vederci perché a parole è impossibile spiegare l'emozione e la vibrazione che regala questa band. Occorre ascoltarla e partecipare. È un vero concerto rock-sinfonico. Una cosa che solitamente si riesce a dare in studio, ma mai dal vivo. David Zard, invece, è riuscito in questa impresa».