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Edo Bertoglio tra i protagonisti di "Total Records"

WINTERTHUREdo Bertoglio tra i protagonisti di "Total Records"

29.02.16 - 06:00
Fino al 16 maggio il Fotomuseum di Winterthur ospita l’esposizione “Total Records – Vinyl & Photography”
Edo Bertoglio
Edo Bertoglio tra i protagonisti di "Total Records"
Fino al 16 maggio il Fotomuseum di Winterthur ospita l’esposizione “Total Records – Vinyl & Photography”

Una mostra, questa, messa a punto da Rencontres d’Arles, in cui abbiamo modo di ammirare oltre cinquecento copertine di dischi e meglio comprendere l’inscindibile relazione tra musica e immagine che si è sviluppata negli ultimi cinque-sei decenni. Da “Abbey Road” (1969) dei Beatles a “Love Sexy” (1988) di Prince, meravigliandosi, nel contempo, osservando gli scatti che accompagnano gli album di Bowie, degli Stones, di Graces Jones… Chi c’era in quel periodo d’oro dietro all’obiettivo? Avedon, Bailey, Bourdin, LaChapelle, ma anche un fotografo e regista luganese: Edo Bertoglio, che tra gli anni Settanta e Ottanta ha realizzato una trentina di opere destinate all’industria discografica. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Edo che – oltre a esporre una parte delle sue copertine nell’ambito della mostra - il 12 marzo sarà al Fotomuseum di Winterthur per un incontro col pubblico e la proiezione del suo film “Downtown 81”.

Edo, quanto è importante un’immagine di copertina per il successo di un disco?

«È importante quanto la musica. Era ed è uno strumento di marketing, un elemento che aiuta a vendere. Quante volte si “sente” la musica guardando le immagini riportate sulla copertina? E questo grazie al talento profuso da fotografi, illustratori e grafici, che interpretano il progetto dei musicisti».

Con l’avvento della psichedelia - nella seconda metà degli anni Sessanta  - l’industria discografica, come i musicisti stessi, hanno dato tutt’altra importanza a questo aspetto… Cosa era cambiato?

«Sicuramente l’intervento di illustratori e grafici di talento che intervenivano sulle copertine proponendo a loro modo l’essenza del contenuto musicale. Dagli anni Sessanta in poi il vento dell’epoca ha generato una creatività a tanti livelli (oltre alla musica, basti pensare alla moda e al costume), quindi anche un’estetica nuova che andava ad arricchire le copertine».

Hai lavorato a una trentina di copertine. Quali le tue preferite?

Blondie: “Parallel Lines”, New York 1978 (studio)
Plastics: “Welcome Back”, New York 1981 (studio)
Tim Curry: “Simplicity”, New York 1981 (gli scatti, in questo caso, sono stati effettuati sul tetto del mio loft)
Malaria: “Malaria!”, New York 1982 (studio)
Krisma: “Fido”, New York 1982 (studio)

Quali copertine hai sempre ammirato con stupore?

«Ne ricordo una in particolare, quella dei Public Image Ltd: i 33 giri erano contenuti in una scatola di alluminio rotonda con il nome del gruppo pressato a sbalzo… (“Metal Box”, 1979, ndr)».

E delle copertine di oggi, in termini generali, qual è la tua opinione?

«Senza dubbio si vedono sempre cose magnifiche, malgrado la dimensione del cd (per non parlare della musica in download) non favorisca un impatto spettacolare come ai tempi dei dischi in vinile».

In questo periodo a cosa stai lavorando?

«Lavoro principalmente alla riscoperta dei miei archivi in tutta la loro interezza. Il periodo in cui ho vissuto a New York (1976-1990) ritorna ciclicamente e il mio materiale fotografico, di conseguenza, è sempre molto richiesto».

 

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