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BASILEA CITTÀBasilea «era viva e vegeta e io ho voluto ritrarla statica e incolore»

28.08.20 - 06:30
In "Free From Corona" il fotografo italiano Matteo Placucci ha cristallizzato la città durante il lockdown
MATTEO PLACUCCI
Basilea «era viva e vegeta e io ho voluto ritrarla statica e incolore»
In "Free From Corona" il fotografo italiano Matteo Placucci ha cristallizzato la città durante il lockdown

BASILEA - Il blocco pressoché totale delle attività durante i mesi peggiori della pandemia di coronavirus è stato raccontato in molti modi. Il fotografo italiano Matteo Placucci ha deciso di raccontare questo stato di cose in un progetto che ha voluto chiamare "Free From Corona".

C'è della polemica nella scelta del titolo?
«Il progetto è nato nella seconda metà di maggio, quando la città ha iniziato a ridurre le restrizioni e a riaprire le attività. Nulla di sbagliato, se non fosse che le misure prese durante i mesi precedenti fossero molto meno rigide e chiaramente meno efficaci di quelle degli altri paesi confinanti. Il titolo irriverente nasce dal fatto che da un giorno all'altro sembrava che la Svizzera fosse libera dal coronavirus, quando era sotto gli occhi di tutti che il mondo si era appena approcciato alla pandemia».

Le immagini restituiscono il senso di una città "congelata", quasi priva di vita: provavi lo stesso mentre la percorrevi?
«Assolutamente no, la città ahimé era molto viva. Le fotografie sono state condizionate dal fatto che mi sono stati negati i permessi per fotografare quello che mi ero prefissato, ovvero la situazione all’interno degli ospedali e gli sforzi del personale sanitario che stava combattendo in prima linea per arginare la diffusione del virus. Così ho deciso di volgere la macchina fotografica altrove e raccontare tutto in maniera meno esplicita».

I piccioni (vivi o morti) ricorrono spesso: hanno uno specifico significato simbolico?
«No, non particolarmente. Li ho scelti come filo conduttore perché, a causa delle rigide leggi sulla privacy, ho deciso di raccontare la vita della città con similitudini e parallelismi. Pubblicando il lavoro sulle mie pagine social a gruppi di tre foto e corredandole da un commento sull'attuale situazione, ho lasciato l’osservatore - svizzero e non - libero d'immaginare».

Cosa avresti raccontato degli ospedali svizzeri, se fossero arrivate le autorizzazioni?
«Per prima cosa la situazione per quello che era. Credo fermamente nel fatto che tutti noi siamo testimoni del nostro tempo e io mi sono scelto una professione che è appunto quella di testimoniare con la fotografia quello che succede nel mondo. Ogni fotografo, prima o poi, si è misurato con un conflitto. Il fatto che questa pandemia, a causa dei numeri e della velocità, avesse tutte le sembianze di una guerra, mi ha fatto pensare che rimanendo qui a guardare il soffitto stavo mancando miseramente l’appuntamento».

Perché hai scelto di usare il bianco e nero? 
«Ho usato il bianco e nero perché ho deciso di lavorare sugli opposti. La città era viva e vegeta e io ho voluto ritrarla statica e incolore».

Come credi che Basilea abbia reagito alla pandemia?
«Per quello che ho potuto vedere, tanti hanno continuato la loro vita senza preoccuparsi di quello che stava accadendo nel mondo e in alcuni casi addirittura senza nemmeno accorgersi del grande pericolo. Le restrizioni, le mascherine e le varie misure di prevenzione come il distanziamento sociale sono state caldamente suggerite, ma su una popolazione non omogenea - oltre il 36% è immigrato come me - questi suggerimenti spesso cadono nel vuoto».

Stai lavorando poi a un altro progetto a tema Covid-19: di che si tratta?
«"Reduci del Corona" è un reportage fotografico con il quale sto documentando la sfera emotiva-privata del personale medico che ha lavorato a contatto con i pazienti infetti da coronavirus». 

Quali conseguenze ha lasciato il virus su chi l'ha combattuto?
«Ho voluto ascoltare e raccontare quello che medici di base, infermieri, operatori socio-sanitari, specialisti in terapia intensiva e persino volontari soccorritori hanno vissuto nel loro intimo durante i lunghi mesi di duro lavoro. In questo reportage ho raccolto le loro paure, le incertezze, il senso d'impotenza per una malattia sconosciuta, il senso di fatica per le tante ore di lavoro, gli sfoghi nervosi per il grande carico emotivo subito e che, con buona probabilità, potrebbe sfociare in disturbi da stress post-traumatico. Iniziato ora, questo reportage andrà a valutare nel corso dei mesi a venire quali saranno gli effetti a lungo termine del coronavirus su coloro che più si sono spesi per combatterlo».

Free From Corona Basel August 24th 2020 From today the city of Basel has made masks mandatory in more public premises....

Pubblicato da Matteo Placucci Photography su Lunedì 24 agosto 2020
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