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LUGANOAirbnb, Blablacar e gli altri: la sharing economy può ancora funzionare, ai tempi del Covid-19?

16.08.20 - 13:00
Le piattaforme per condividere beni e servizi hanno patito l'impatto della pandemia, ma per loro non è ancora finita
Unsplash / Dan Gold
Airbnb, Blablacar e gli altri: la sharing economy può ancora funzionare, ai tempi del Covid-19?

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Le piattaforme per condividere beni e servizi hanno patito l'impatto della pandemia, ma per loro non è ancora finita

LUGANO - Pur avendo vissuto una vita relativamente breve, la sharing economy è già stata oggetto di alti e bassi molto significativi.

Fino a poco prima della pandemia, dopo le iniziali diffidenze, i servizi di condivisione era diventata una presenza costante nella quotidianità di molte persone e utenti del web, specialmente tra le fasce più giovani della popolazione.

Al di là delle sue definizioni, la sharing economy aveva già mietuto successi con i notissimi Airbnb e Uber, servizi in grado di competere (o integrarsi) con l'offerta classica nei settori alberghiero e dei trasporti, tanto che la valutazione complessiva, insieme a quella della startup Bird, nata per il noleggio agile di monopattini elettrici, superava i cento miliardi di dollari.

E adesso? Prima di dare uno sguardo alla situazione attuale di queste iniziative, gravemente penalizzate dall’arrivo del Covid-19, facciamo un po’ di chiarezza su quali siano le basi - talora controverse e non "condivise", tra addetti ai lavori - di questo ancora innovativo concetto a cavallo tra business e visione sociale e sistemica.

Sharing economy: che cos’è (e perché)

Secondo l’Oxford Dictionary, che ha ospitato il termine a partire dal 2015, la sharing economy è “un sistema economico in cui beni o servizi sono condivisi tra individui privati, gratis o a pagamento, attraverso Internet”. Come accennato sopra attraverso gli esempi illustri, quindi, alla base di questa visione non ci sono aziende grandi o piccole, che si occupano prevalentemente di intermediare, ma persone e i cittadini del pianeta, disposti a noleggiare, affittare, prestare ciò che posseggono (tempo e abilità compresi, mediante piattaforme come la ticinese Timerepublik).

Una dei pionieri della sharing economy, Rachel Botsman, nel 2010 scelse come titolo di un suo libro sul tema “What’s mine is yours”, ovvero “Ciò che è mio è tuo", per sottolineare con fermezza il potere quasi rivoluzionario della condivisione, potenziata dal digitale e dall'entusiasmo dei Millennials, ormai più che pratici nell’utilizzo del proprio smartphone come “telecomando del Mondo”, strumento per ottenere un servizio veloce, a buon mercato e vicino a sé, grazie a pochi tap e alla disponibilità di persone con la stessa inclinazione.

Secondo Botsman, inoltre, la condivisione riguarda soprattutto beni e servizisottoutilizzati”, regalando a questo modello proceduralmente nuovo un’ulteriore sfumatura di sostenibilità. Se prendiamo ad esempio Blablacar, servizio di car sharing di successo, ne avremo una prova ulteriore: gli utenti possono “approfittare” della disponibilità dei posti auto vacanti di altri utenti non per una corsa su richiesta, ma per condividere una tratta di viaggio – anche relativamente lunga – da una città ad un’altra, dividendo le spese, godendo di buona compagnia e sfruttando al massimo le risorse altrimenti sprecate.

È importante sottolineare, però, anche in funzione di ciò che scriveremo tra poco, che la tecnologia non è l’unico motore propulsore di questo concetto. La condivisione presuppone un atto di fiducia nei confronti di chi mette a disposizione il servizio, a prescindere da tutti i sistemi di feedback, recensioni e dagli accorgimenti che proteggono la privacy e la sicurezza dei loro fruitori. Secondo la design blogger Guenda Esposito, infatti, è come se andassimo contro tutte le raccomandazioni dei nostri genitori: accettiamo passaggi dagli sconosciuti, affittiamo appartamenti e stanze da privati che non abbiamo mai visto, e magari cerchiamo l'anima gemella dietro un avatar.

La sharing economy è ancora possibile nell’era post-Covid?

La recente pandemia, che ancora infuria con forza asincrona in tutti gli angoli del pianeta costringendo a lockdown e limitazioni nei viaggi più o meno stringenti, ha minato proprio questa fiducia: al di là di ogni possibile precauzione, molte persone non sono ancora a proprio agio con gli spostamenti - per turismo, ma non solo -, dubitano dell'igiene dei mezzi di trasporto altrui, degli immobili in cui è possibile trascorrere un breve periodo, nonché delle condizioni di salute degli ospiti o degli ospitati.

L’impatto del Coronavirus si è fatto sentire con prepotenza, quindi, anche tra i big citati a inizio articolo: già dalla prima metà di maggio, Uber è stata costretta ad annunciare il licenziamento del 14% del personale, pari a circa 3700 dipendenti; lo stesso destino hanno subito ben 1900 impiegati di Airbnb, che ha dimezzato le sue prospettive di ricavi per l'anno in corso.

Nonostante queste difficoltà, però, la sharing economy continua ad avanzare.

È ancora presto, crediamo, per fare una valutazione sul bilancio dei mesi che seguono la crisi in corso, poiché siamo, probabilmente, troppo vicini all'occhio del ciclone. Ciò che possiamo esaminare e tenere in conto, tuttavia, è il modo in cui le abitudini delle persone si siano modificate in funzione di una nuova quotidianità e, sulla base di questo, come i promotori della condivisione si stiano organizzando - o debbano organizzarsi - per incontrare tali nuove esigenze.

Bird, ad esempio, si assicura che i propri mezzi elettrici siano igienizzati a fondo e periodicamente, mentre Airbnb si è impegnata ad istruire i propri host su come e quanto pulire gli ambienti che cedono in affitto agli utenti della piattaforma, istituendo un periodo di attesa facoltativo di 24 ore tra un soggiorno e l’altro. Gli autisti di Uber hanno l’obbligo, naturalmente, di indossare la mascherina, e gli eventuali trasgressori vengono individuati con una speciale tecnologia fotografica digitale. Inserite e consolidate queste regole, utili a tutelare la sicurezza di chi usufruisce dei servizi, si può già prevedere l'innalzarsi di un argine, sebbene parziale, alle conseguenze economiche di un evento così improvviso e potenzialmente devastante.

Fissate dei paletti e dei nuovi standard minimi, molti utenti possono nuovamente tendere a prediligere i servizi di car sharing, bike sharing e affini, rispetto ai mezzi pubblici come autobus o treni, frequentati da più persone contemporaneamente e non sempre garanzia un distanziamento sociale appropriato.

Nella stagione estiva, le corse in monopattino di Bird hanno riscontrato un 50% in più nella durata del noleggio, ed è raddoppiata la durata media dei soggiorni prenotati tramite Airbnb, soprattutto a breve distanza dalla propria città di residenza. L’80% delle riservazioni riguardano destinazioni nazionali, e quelle a meno di 300 km di distanza da casa sono il 56% del totale, mentre prima della pandemia toccavano appena il 33%.

Nonostante un primo impatto traumatico, insomma, le previsioni sembrano essere ottimiste anche per queste realtà legate a quella rivoluzione digitale con cui moltissime nuove persone, durante la primavera, hanno acquisito familiarità. Si tratta, a nostro parere, dell’occasione giusta per approfittare, laddove se ne abbia modo, di offrire un servizio ancora più su ciò di cui la gente ha davvero bisogno.

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Articolo a cura di Linkfloyd Sagl, agenzia di marketing e comunicazione in Ticino.


Questo articolo è stato realizzato da Linkfloyd Sagl, non fa parte del contenuto redazionale.
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