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CANTONE«Risvegliamo le coscienze, per un mondo migliore»

10.04.19 - 06:00
In attesa di vederlo esibirsi il 4 maggio al Palacongressi di Lugano, lunedì abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Cristiano De Andrè negli studi Rsi di Besso
Foto Rsi/L. Daulte
Il 4 maggio Cristiano De Andrè tornerà a Lugano: l'appuntamento è al Palacongressi con una rilettura di "Storia di un impiegato".
Il 4 maggio Cristiano De Andrè tornerà a Lugano: l'appuntamento è al Palacongressi con una rilettura di "Storia di un impiegato".
«Risvegliamo le coscienze, per un mondo migliore»
In attesa di vederlo esibirsi il 4 maggio al Palacongressi di Lugano, lunedì abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Cristiano De Andrè negli studi Rsi di Besso

di Marco Sestito

LUGANO - Finito il soundcheck per quello che di lì a poco si è trasformato in uno showcase di parole (autentiche) e musica, Cristiano si accende la prima sigaretta e inizia a raccontarsi, a raccontare il progetto che oramai da alcuni mesi sta registrando sold out a raffica nella vicina Penisola.

Unica tappa in territorio elvetico, per Cristiano e il suo gruppo - Osvaldo Di Dio (chitarra), Davide Pezzin (basso), Davide Devito (batteria), Riccardo Di Paola (tastiere) -, sarà quella luganese. Un appuntamento assolutamente imperdibile: porterà sul palco, difatti, una rilettura di “Storia di un impiegato” (Produttori Associati, 1973), sesto album, nonché quarto concept, di suo padre, Fabrizio De Andrè. Un capolavoro che anticipò i tempi, focalizzato - nel ricordo del Maggio francese (1968) - sulla speranza di costruire un mondo migliore, mettendo in discussione le basi su cui si fonda il potere.

Foto Rsi/L. Daulte«“Storia di un impiegato” è forse uno degli album più difficili di mio padre».

Cristiano, il mondo è sottosopra e, come diretta conseguenza, buona parte della società soggiogata dai personaggi al potere...

«L'obiettivo di questo progetto è proprio quello di risvegliare le coscienze, partendo da ciò che era il potere nel '68 - con le stragi di stato, in cui ognuno aveva l'urgenza di comandare e di sottomettere -, mentre in contrapposizione c'era il sogno libertario, il sogno anarchico, gli hippie, la poesia, la musica... Anche se alla fine hanno vinto loro, i colletti bianchi, abbiamo visto cosa è accaduto dagli anni Ottanta in avanti: la scomparsa dell’arte ci ha portato a inabissarci nel capitalismo, nel consumismo, nell'avidità totale. Come diceva Pasolini già allora, del resto...».

Foto Rsi/L. Daulte«L'obiettivo di questo progetto è proprio quello di risvegliare le coscienze».

Per quale motivo questo ti sembra il momento giusto?

«Sento che c'è una grande voglia di trasparenza, di ritornare a tutto ciò che abbiamo perso. Il sogno è sempre lo stesso e continua a essere vivo: secondo me si sta materializzando e potremmo essere partecipi di un cambiamento storico importante. Lo vedo anche da questo spettacolo: “Storia di un impiegato” è forse uno degli album più difficili di mio padre, ma la gente arriva a fiumi...».

L’Italia, in fatto di immigrazione, ha perso la memoria…

«Certo. Si è perso anche il dolore degli altri. Che è un dolore a metà, diceva mio padre. È una situazione terribile, ne potremmo venire fuori soltanto con l’autocoscienza».

Come avrebbe reagito Faber al cospetto di tanta indifferenza, di tanta diffidenza, di tanto odio, verso chi, in fuga dall’inferno, si imbarca verso l’ignoto?

«Si imbarca verso l’ignoto, si imbarca verso l’utopia, perché è forse l’unica altra verità da seguire… Come avrebbe reagito mio padre? Probabilmente avrebbe realizzato una “Storia di un impiegato 2”».

Hai mai immaginato incontro tra tuo padre e Matteo Salvini?

«No… (ride). Ma il fatto che Salvini sia un fan di mio padre mi fa ben sperare…».

Foto Rsi/L. Daulte«Sento che adesso c'è una grande voglia di trasparenza, di ritornare a tutto ciò che abbiamo perso».

Le canzoni attuali, secondo te, potrebbero ancora scuotere l’animo della massa?

«Anche se tutto si è appiattito, delle vette al sole ci sono ancora…».

Vuoi fare qualche nome?

«No, non vorrei penalizzare qualcuno...».

Quando tuo padre iniziò a lavorare a “Storia di un impiegato” tu avevi 10-11 anni: qualcosa era cambiato, per quanto tu possa ricordare, nel suo approccio compositivo, rispetto alle produzioni precedenti?

«Dal mio punto di vista, “Storia di un impiegato” è un album a sé, perché è forse il suo disco più politico, dove si schierò davvero, ammettendo la sua vena anarchica. Come sai, l’album non fu nemmeno preso bene, anche perché quello di cui gli operai e gli studenti avevano bisogno di sentirsi dire lui non glielo ha detto».

Come aveva reagito alle numerose critiche?

«Aveva ammesso che era un album difficile, che si era spinto un po’ più in là, ma proprio per placare gli animi… Lui aveva comunque il bisogno di dire determinate cose… Come ha sempre fatto, senza mai fermarsi, del resto, nel corso della sua vita...».

Quali erano le sue letture in quel periodo?

«Ha sempre letto vagonate di libri: era difficile stargli dietro…».

Hai assistito alle sessioni di registrazione?

«No, non in quell’occasione...».

E tu, per lavorare a questo progetto, da che punto sei partito?

«Dagli arrangiamenti di Piovani, ma successivamente mi sono reso conto che non avrei potuto tenere nulla, perché il progetto stava prendendo un’altra strada. E quella strada è un po’ la cucitura di tutti gli stili che ho vissuto nella mia vita, da quando ho iniziato il conservatorio in poi…».

Verso quale direzione porta l’ascoltatore?

«Non c’è una direzione precisa, ma varie cose che si intersecano: dalla world music all’elettronica...».

Prima di concludere: chi inviteresti al concerto, nella speranza che lo aiuti a smuovere la propria coscienza?

«Matteo Salvini. Altri? Beh, alcuni sono finiti, mentre i 5 Stelle ho l’impressione che qualcosa stiano facendo: mi sembra la politica più trasparente che ci sia».

Prevendita: biglietteria.ch

 

 

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