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CANTONEIl ‘68 di Marco Zappa

10.10.18 - 06:00
Domenica 14 ottobre alle 17.30 al Teatro Sociale di Bellinzona avremo modo di assistere a uno show che il cantautore e polistrumentista ticinese ha intitolato “MarthaMyDear-Le canzoni del nostro ‘68”
Foto Walter Huber
Marco Zappa, classe 1949.
Marco Zappa, classe 1949.
Il ‘68 di Marco Zappa
Domenica 14 ottobre alle 17.30 al Teatro Sociale di Bellinzona avremo modo di assistere a uno show che il cantautore e polistrumentista ticinese ha intitolato “MarthaMyDear-Le canzoni del nostro ‘68”

di Marco Sestito

BELLINZONA - Un progetto speciale, quello che si appresta a portare sul palco Marco Zappa, il quale, per l’occasione, sarà accompagnato dalla figlia Daria (violino), così come dagli amici Marco Meneganti (pianoforte, armonica, Hammond, melodica) e Ilir Kryekurti (batteria, percussioni).

Uno show durante il quale avremo modo di ascoltare «alcune delle canzoni che hanno più influenzato i giovani, prima del ‘68, portandoli gradualmente a una nuova presa di coscienza critica del loro importante ruolo nella società, nella scuola e ad una visione più libera della sessualità», spiega Zappa.

Parliamo di un evento speciale perché «"Martha My Dear" è il titolo di un famoso brano dei Beatles datato 1968, ma è anche un chiaro riferimento al mio grande rispetto per il progetto Casa Marta di Bellinzona - una struttura di prima accoglienza per persone in difficoltà -, a cui sarà devoluto l'intero incasso della serata».

Marco, come è stato il 1968 in Ticino?

«Il discorso sarebbe lunghissimo e importante. Come cercherò di dimostrare durante il concerto al Teatro Sociale, il ’68 in Ticino, come anche nel resto dell’Europa, è stato il frutto di una serie di circostanze culturali, sociali, politiche, scolastiche, ma anche musicali che hanno portato gradualmente i giovani a prendere coscienza del loro importante ruolo nella società. Pensiamo ai problemi razziali in America, alla guerra del Vietnam, al fenomeno degli hippie ai grossi festival musicali… tutto questo era nell’aria. I giovani sentivano di appartenere a un gruppo che condivideva gli stessi ideali di libertà, di autonomia e chiedevano al mondo adulto di essere considerati in questo nuovo modo. Dal punto di vista musicale ascoltavamo tutto quello che giungeva dai paesi anglosassoni, ma anche dall’Italia, canzoni proposte da nuovi gruppi che nascevano e che suonavano ovunque in quegli anni. E anche in Ticino, sull’onda del successo dei locarnesi Night Birds, esistevano moltissimi “complessi” - come si diceva allora - che suonavano sempre davanti a un pubblico entusiasta e numeroso. Spesso, come nel mio caso, i giovani musicisti dovevano essere accompagnati dai genitori, nelle sale in cui si esibivano, perché ancora minorenni. Anche il sound delle band era nuovo, basato sul nuovo strumento che si stava affermando da qualche anno: la chitarra elettrica con i suoi effetti, dal riverbero alla distorsione… Per un giovane come me, tutto faceva scuola, tutto era nuovo e autentico. Mi fermavo per ore in strada ad ascoltare le band che suonavano nei locali anche il pomeriggio. Tutti cercavamo di riprodurre con i nostri mezzi quello che sentivamo e che respiravamo. Anche i testi delle canzoni, a partire da Bob Dylan, e dai primi autentici cantautori, iniziavano a trasmettere messaggi di pace, di critica sociale e parlavano d’amore in un modo nuovo».

Raccontami in breve dell'occupazione dell'Aula 20...

«In Ticino, il ’68 è sfociato concretamente nell’occupazione dell’Aula 20, alla Scuola magistrale di Locarno, da parte di un gruppo di studenti che sull’onda delle letture di psicologia e di sociologia in voga in quegli anni, da Marcuse, a Freud, da Ellis a Jung, sentivano che la scuola e la società in generale poteva proporsi in modo meno cattedrattico e autoritario. È vero che la cosa è stata sfruttata anche politicamente da chi in Ticino e a Locarno voleva opporsi al potere del sindaco Speziali, anche direttore della Magistrale, ma gli studenti erano sinceramente dentro un loro nuovo mondo che pochi dall’esterno capivano veramente e accettavano. Io non sono mai stato estremista, anche perché a casa avevo il padre che era docente in Magistrale e la mamma docente al Papio; ma ho avuto comunque l’opportunità e la fortuna di vivere l’occupazione dell’Aula 20, nel ’68 e nel ’69, il “Nuovo Corso”, con nuovi programmi sperimentali, un nuovo direttore e nuove speranze… Mi rendo conto, comunque, quando leggo ancora oggi che gli studenti rivendicano “Lezioni di sesso più moderne…” quanto poco sia rimasto di quegli anni nel mondo di oggi - vedi, per esempio, la votazione sulla “Scuola che verrà” -. Purtroppo, come tutte le rivoluzioni e tutte le idee che si scontrano con degli interessi precostituiti e consolidati, anche il ’68 è stato presto dimenticato e chiuso in qualche cassetto».

Alle nostre latitudini, il 1968 cosa ha lasciato? Cosa è cambiato?

«Posso rispondere, parlando di quello che il ’68 ha lasciato in me. Credo che tutta la mia vita sia di uomo, sia di padre, sia di docente, sia di musicista abbia cercato e cerchi tuttora di applicare concretamente quello che rivendicavamo in quell’anno. Sono stato un docente molto vicino ai bisogni e agli interessi degli allievi, ma nel contempo molto esigente e severo. Ho sempre cercato di rispondere a ogni domanda che mi veniva posta, nel modo più serio e profondo, cercando di far capire agli allievi che la scuola serviva a loro, per il loro futuro, per la loro vita. Ho cercato di portare il mondo dentro la scuola. Ma anche in tutto il mio percorso musicale ho cercato di restare fedele a questo principio di autonomia, di critica ed auto-critica sociale, di coerenza e di duro lavoro costante, senza compromessi».

A livello musicale, anche in Ticino c'era grande fermento. E tu eri già in prima linea. Com'era muoversi all'interno di quel contesto? Più difficile sotto certi aspetti, mentre era più facile da altri punti di vista?

«Qui possiamo parlare dell’ambiente musicale in generale degli anni ’60, che nel ’68 ha avuto il suo apice. Tutto era nuovo e autentico. La nuova generazione di cui facevo parte stava creando, in sintonia con quello che accadeva nel mondo, una nuova musica, un nuovo modo di suonare in gruppo. Un nuovo modo di proporsi. Nuovi musicisti si imponevano per la loro tecnica e il loro sound innovativo, dai Beatles a Jimi Hendrix, a Celentano in Italia. E tutti noi, all’inizio, giustamente imitavamo; sperimentavamo come potevamo tutto quello che era nell’aria. Con il mio primo gruppo, i Teenagers, avevamo optato per un repertorio più vicino al blues degli Animals, degli Small Faces, dello Spencer Davis Group, perché all’epoca, riproporre le sonorità e gli impasti vocali dei Beatles era molto difficile».

Quali sono le canzoni che hanno segnato in modo particolare quel momento storico?

«Sono moltissime e diverse per ognuno di noi. Per il Teatro Sociale ho scelto una scaletta che mi permette di parlare delle diverse sonorità, dei diversi stili, dei contenuti dei testi delle canzoni che personalmente ricordo e suono con più piacere. Cercherò di inquadrare i vari brani inserendoli nel momento storico e sociale in cui sono apparsi, partendo cronologicamente dagli inizi degli anni ’60, per arrivare fino al ’68. Partiremo comunque con “Martha My Dear” del ’68, brano poco conosciuto dei Beatles ma che mi permette di allacciarmi direttamente all’Associazione Casa Marta, a cui andrà sia tutto l’incasso, sia questo momento di sensibilizzazione. Nel primo tempo, lo spettacolo passerà in rassegna brani di Bob Dylan, dei Byrds, dei Beatles e, per restare nella realtà italiana, dei Rokes, dell’Equipe 84, di Morandi, Celentano, Guccini, sempre con un’attenzione speciale anche ai testi e alle nuove sonorità che si stavano imponendo sul mercato discografico internazionale. Senza dimenticare comunque il brano “Complication” dei miei Teenagers, con cui, nel 1967, ho iniziato la mia attività discografica. Il secondo tempo sarà più incentrato sul tema dell’amore, visto sotto diverse e nuove prospettive, e sul nuovo modo di comporre e di scrivere, passando da De André, a Tenco, ancora ai Beatles, a Conte, per terminare con “RaNisciora”, la mia canzone in cui ricordo a modo mio il ’68».

 

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