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ITALIA/CANTONEDentro il blues di Dany Franchi

29.08.18 - 06:00
A tu per tu con Dany Franchi, giovane talento della sei corde che vedremo esibirsi domani, venerdì e sabato a Lugano nell’ambito della 30esima edizione di Blues to Bop
Dentro il blues di Dany Franchi
A tu per tu con Dany Franchi, giovane talento della sei corde che vedremo esibirsi domani, venerdì e sabato a Lugano nell’ambito della 30esima edizione di Blues to Bop

di Marco Sestito

GENOVA/LUGANO – Ventotto anni, genovese, «di Campomorone», ha all’attivo già tre album coi fiocchi - “Free Feeling” (2012), “I Believe” (Cd Baby, 2014), prodotto da Sean Carney, e, infine, “Problem Child”, pubblicato lo scorso 18 maggio tramite Station House Records con la produzione di Anson Funderburgh e Don Ritter, quest'ultimo di Category 5 Amplification -.

Considerato uno dei migliori musicisti blues della nuova generazione, Dany – accompagnato da Michael Tabarroni (basso), Emanuele Ghirlanda (tastiere) ed Emanuele Peccorini (batteria) –, rigorosamente munito di Stratocaster, modellerà pentatoniche incandescenti per il pubblico luganese, che avrà modo di vederlo sul palco domani – giovedì - alle 23.45 in Piazza della Riforma, venerdì alle 22.30 in Piazza San Rocco e sabato alle 23 in Piazza Cioccaro.

Dany, so che sei appena rientrato in Italia…

«Sì, da pochi giorni. Sono stato in tour negli Stati Uniti quattro mesi per la promozione del mio nuovo album».

Non eri a Genova, quindi, nel giorno della tragedia del ponte Morandi?

«No, ero ancora in America. Quando sono venuto a sapere di quanto accaduto mi è crollato il mondo addosso. Speriamo ci si riesca a riprendere…».

Raccontami del tuo primo incontro con la sei corde…

«Ho imbracciato la prima chitarra da bambino, a otto anni. Suonavo in chiesa; da quegli istanti ho incominciato ad appassionarmi sempre di più allo strumento. Una passione che, da ragazzo, mi ha portato a iscrivermi al Centro Professione Musica (Cpm) di Milano, la scuola di Franco Mussida. Dopodiché, mi sono fatto le ossa suonando come sessionman in vari contesti. Nel 2011, poi, a ventun’anni, ho preso questa strada…».

A chi devi, diciamo così, la tua passione per il blues?

«A un amico di famiglia, con cui ascoltai per la prima volta Eric Clapton...».

Posso immaginare che tu ti sia avvicinato a Slowhand con il doppio album dal vivo “Just One Night” (Rso, 1980), mi sbaglio?

«Lo hai azzeccato in pieno! Quello è stato il mio inizio, il primo disco che mi ha folgorato, direi… Avrò avuto dieci-undici anni…».
 
E dopo cosa hai ascoltato?

«Dopo sono passato da un sacco di cose, anche dal metal…».

Che vuoi dirmi del tuo primo album, un'autoproduzione, “Free Feeling”?

«Prima non avevo mai fatto niente, l’ho messo insieme in due mesi… Come hai potuto vedere sono tutti pezzi miei, eccetto un paio…».

Già “Voodoo Chile” di Hendrix e “When The Blues Had A Baby And They Named It Rock and Roll” di Muddy Waters. Ora il disco è in vendita soltanto in digitale, perché non lo ristampi?

«Hai ragione, dovrei farlo… Ma sai com’è… Una volta che hai registrato un disco, quando lo riascolti già non ti piace più… Come dire… Ora lo farei in maniera diversa…».

Dimmi di “I Believe”, prodotto da Sean Carney…

«L’ho registrato a Cadiz, Ohio. E quello, a differenza del primo, ad ogni esaurimento delle scorte, lo ristampo regolarmente…».

Al suo interno figura una cover di Tom Waits, “Ol’ ‘55”…

«Definirei la mia versione del brano una sorta di tributo… Amo in modo particolare l’album – il primo di Waits - in cui è contenuto, “Closing Time” (Asylum Records, 1973)…».

Come è nata la collaborazione con Carney?

«Tutto ha preso forma nel momento in cui qualche anno prima dell’uscita del disco aprii un suo concerto qui in Liguria, ad Albissola…».

Prima di concludere, raccontami di “Problem Child”…

«Direi che questo disco è un sogno diventato realtà: dalla produzione di Funderburgh e Ritter alle registrazioni ad Austin, Texas, tra le mura del Wire Recording Studio di Stuart Sullivan, in compagnia, tra gli altri, di musicisti come Jim Pugh (tastiere; Robert Cray, Otis Rush…), Wes Starr (batteria; Anson Funderburgh, Marcia Ball) e i Texas Horns (Buddy Guy, Dr. John…)».

 

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