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Gyalson: in un mondo di visioni, all'improvviso

CANTONEGyalson: in un mondo di visioni, all'improvviso

27.06.16 - 06:00
Nic Gyalson narra la genesi del suo primo album, “Alluvision”, dato alle stampe poche settimane fa.
Da sinistra Serena Maggini, Nic Gyalson (Nicolò Mariani), Dario Pedrazzi, Francesco Martire.
Gyalson: in un mondo di visioni, all'improvviso
Nic Gyalson narra la genesi del suo primo album, “Alluvision”, dato alle stampe poche settimane fa.

LUGANO - Tredici tracce, tredici fotogrammi sonori, sviluppano un’opera prima ammaliante: Nic (Nicolò Mariani; voce, tastiere, synth, chitarra) - giovane musicista e film-maker luganese di base a Cadro - all'interno di un limbo tutto suo, inviolato, inviolabile - con l’apporto di Dario Pedrazzi (batteria, percussioni), corre e rincorre risonanze, seziona e ricuce suoni, riverberi, di cui si nutre costantemente (blues, garage rock, psichedelia, new wave, electro).

Nic, raccontami la nascita del progetto…

«Il progetto nasce nel 2013, da una manciata di idee raccolte in una serie di viaggi tra la Germania e il Ladakh (regno Himalayano nello stato di Jammu e Kashmir, India, ndr). Da subito ho iniziato a lavorare con il batterista e vicino di casa Dario Pedrazzi, con il quale ho dato forma ai primi brani, cercando di combinare diversi stili per dare forma e creare un genere nostro. Il concetto dietro tutta la manovra, viene però “partorito” durante una conversazione semi-delirante con l'amico regista Davide Lomonte, con il quale mi trovavo a Genova per la produzione di un documentario sui Krisma (storico duo new wave del periodo '70-'80, condiviso dalla coppia Maurizio Arcieri e Christina Moser, ndr). In quell'albergo - dai corridoi “alla Shining” con le luci tremolanti, il fumo di sigaretta che filtrava dalla fessura tra il pavimento e la porta della stanza di Maurizio e la sua tv accesa a tutto volume fino a tarda notte - ricordo che Davide, ascoltati i miei primi demo, mi disse: “Prova a renderla più minimale, minimale... Minimal!”. Scattò un sorriso di intesa, e quella notte fu stabilito che lo stile musicale si sarebbe basato su una struttura ritmica di incrocio tra blues ed elettronica minimale, mentre gli arrangiamenti, e in particolare le voci, avrebbero preso una vena più Sixties, esplorando quel mondo sempre affascinante che è il rock psichedelico».

Cosa si cela dietro al titolo dell’album?

«“Alluvision”, un'alluvione di visioni, cioè l'essere investiti da un'ondata di creatività, oppure “All-U-Vision”, all you vision, tutto ciò che immagini. Rappresenta uno stato mentale, un momento di estrema creatività, senza barriere né preconcetti, un processo artistico “puro”, a tratti ingenuo, che si situa all'inizio della fase di transizione tra l'essere un ragazzino ancora studente e spensierato e l'iniziare a intravedere la propria vita nel mondo dietro l'angolo, con tutti i suoi garbugli e le sue pesantezze, fino ad allora ignorate e assolutamente non prevedibili. Forse, una risposta esplosiva allo shock del cambio di prospettiva».

Tredici tracce: vuoi entrare nel dettaglio dei versi, delle strofe?

«L'album racchiude una storia di crescita, retta da un equilibrio complesso di ragionamenti e pensieri in dormiveglia, a cui penso che ognuno darà la propria interpretazione in base al proprio vissuto. Parte dalla rabbia, dalla frustrazione e dal forte desiderio di affermare la propria identità; attraversa l'entrata in scena dell'amore e la scoperta del sesso, parla di paura e preoccupazioni. Si chiude con una punta di malinconia, per qualcosa che non c'è più, o che si è deciso di lasciar perdere con rammarico, un'innocenza in bassa definizione che, alla luce di nuove esperienze, sembra inutile ora, eppure manca tanto».

Da quanto mi dici, sembrerebbe un concept album, mi sbaglio?

«Si danno molte definizioni strane. Forse sì, ma d'altronde, in questo genere, cos'è un “non concept album”? Sicuramente “Alluvision” non è una raccolta di canzoni in ordine sparso, è stato in parte pensato come un'unica opera, come un film, se vogliamo, e molte delle canzoni hanno argomenti in comune. Tuttavia, i brani si sono evoluti nel tempo anche e soprattutto individualmente, dopodiché si è deciso come collocarli nell'economia dell'album».

A livello musicale, quali le maggiori influenze confluite nel disco?

«Nella fase di scrittura, ho esplorato i due generi fondamentali, con l'idea di cogliere qualche spunto creativo, che nel caso del blues ha più a che fare con emozioni e sentimenti, mentre per techno e sottogeneri è qualcosa di più viscerale, istintivo e legato alle pulsioni. Abbiamo quindi subito messo nell'impastatrice una buona quantità di blues (in particolare Delta Blues) e di groove elettronici, cercando di lasciar crescere questa massa, che sarebbe diventata la base ritmica per molti brani, come un organismo a sé. Per quanto riguarda gli arrangiamenti e le linee melodiche, trasuda sicuramente molto il mio amore per la musica psichedelica degli anni Sessanta, dai Jefferson Airplane ai Cream, ai Doors, ma anche per quella più recente, fiorita splendidamente negli anni 2000, con Jack White, Black Keys, Suuns e molti altri».

Raccontami le registrazioni...

«Buona parte dei brani sono stati registrati tra le mura de La Sauna Recording Studio di Varano Borghi (Varese) con Andrea Cajelli, geniale ingegnere del suono, con il quale mi sono trovato nell'ambiente perfetto per la produzione artistica. Nelle registrazioni siamo soltanto in due – Dario alla batteria e io, impegnato con tutto il resto – nonostante vi siano stati diversi collaboratori, in particolare Serena Maggini, co-autrice di parte dei testi e delle tracce di elettronica, e Olivier Mucchiut (altre parti di sequencer). Le registrazioni preliminari, con tracce di riferimento e suoni generati con sintetizzatori, sono iniziate nel 2014, mentre la session principale a “La Sauna” si è svolta nel febbraio 2015, seguita da un periodo di post-produzione (mix e mastering) conclusosi nell'autunno dello stesso anno».

Raccontami la scelta dell’immagine di copertina...

«Sul davanti c'è la maschera. Si tratta di una maschera del Mali, è il simbolo che identifica non solo l'album, ma tutto il progetto. Il vero simbolo di “Alluvision” è il filo di rame intrecciato, sul retro copertina. È un seme, mi piace vederlo come lo spermatozoo della creatività, una fecondazione della mente.

Oltre all’edizione in cd e in digital download, hai deciso di pubblicare il disco anche in vinile… Perché questa scelta? Quante copie?

«Ho sempre ascoltato musica in vinile, la preferisco: metti su un disco, ti rilassi e lo ascolti, è pieno, caldo, vivo. Tra una canzone e l'altra non c'è mai una vera pausa, sempre un po' di fruscio, che ti dà una continuità senza stacchi, salvo quello tra lato A e lato B, che però in fondo è un bene che siano separati. Mi piace inoltre poter tenere in mano un bell'oggetto come un disco, e potermi godere una copertina in formato più grande. Abbiamo stampato un'edizione limitata di 500 copie».

Quando i prossimi show in programma nella Svizzera italiana?

«Comunicheremo le date a breve sul nostro sito e sulla nostra pagina Facebook».





 

 

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