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SPECIALELa 24 ore del Nürburgring dal posto di guida

26.05.15 - 09:11
Il nostro Benjiamin Albertalli è partito per la 24 ore del Nürburgring ed è tornato vincitore. Ecco le emozioni che ha provato al volante della Toyota GT86. Il ricordo più bello? Non il trofeo…
La 24 ore del Nürburgring dal posto di guida
Il nostro Benjiamin Albertalli è partito per la 24 ore del Nürburgring ed è tornato vincitore. Ecco le emozioni che ha provato al volante della Toyota GT86. Il ricordo più bello? Non il trofeo…

Il mio mentore, uno che di nome fa Giampaolo Tenchini, me l’aveva detto proprio il giorno in cui mi ero messo in marcia verso la Nordschleife: “Goditelo: passerà tutto troppo in fretta… Ti ritroverai lunedì a pensare se hai sognato o sudato veramente per portare a casa il risultato, che non dev’essere per forza il podio ma una serie di emozioni che ti rimarranno impresse tutta la vita. Vedrai: questa 24 ore è un vero gioco di squadra! Ogni volta che riporterai l’auto sana al compagno che ti darà il cambio sarete sempre più forti, perché ricordati che nelle gare di durata c’è un modo di dire inglese importantissimo: if you want to arrive first, you first have to arrive.”

Onestamente non avrebbe potuto spendere parole più esatte per descrivere i primi pensieri che mi sono passati per la testa proprio il lunedì successivo alla gara, mentre dalla finestra dell’albergo scrutavo il paesaggio boschivo dell’Eifel ormai deserta. E pensare che proprio qui, ieri, era in corso la “gara più impegnativa del mondo”. Non una 24 ore qualunque, ma la 24 ore del Nürburgring. E pensare che siamo addirittura riusciti a tagliare il traguardo. E pensare che non solo siamo riusciti a tagliare il traguardo, ma siamo anche finti sul gradino più alto del podio. Questo, però, non importa. Vincere sarà stato anche bello, a maggior ragione trattandosi della mia prima partecipazione e della realizzazione del sogno di una vita, ma i ricordi più belli che mi sono portato a casa sono stati altri. Uno su tutti: il lavoro di squadra.

Mi sono ritrovato quassù mercoledì pomeriggio con persone che conoscevo appena ma che domenica sera avrei voluto avere sempre al mio fianco. Non perché con loro ho brindato alla vittoria con una Bitburger fresca, bensì per il favoloso rapporto che si è creato nei momenti più difficili di questo cammino. Tanto per dirne una, al primo giro di gara Manuel Amweg, uno dei tre piloti con cui ho condiviso l’auto, passa subito in testa. Due orette più tardi, invece, l’auto è ferma a bordo pista con un danno totale al motore. Dall’euforia si passa alla rassegnazione in un battito di ciglia. Abbattersi, essere delusi o avere il morale a terra è del tutto normale. Però non appena qualcuno si perde d’animo, si abbandona alla rassegnazione o pensa anche solo lontanamente di mollare, c’è qualcuno all’interno della squadra che te lo impedisce: ti da una pacca sulla spalla, ti dice anche la più banale tra le frasi, ti fa rialzare assieme a lui e ti porta di nuovo in corsa. Perché al traguardo non ci si arriva da soli ma tutti insieme. In squadra. Così non fai neanche tempo a capire cosa sia successo che già si stanno facendo il mazzo (avrei voluto usare un’altra parola, ma non si può) per sostituire l’intero motore e ci riescono in meno di tre ore perdendo complessivamente cinque ore di gara. Gli avversari hanno accumulato un distacco apparentemente incolmabile ma ecco che loro escono di pista e si devono fermare per riparare la macchina: la speranza si riaccende. Ma il tuo compagno di squadra a notte fonde esce pure lui di pista costringendoti ad una sosta forzata ai box di mezz’ora prima di salire in auto. La nostra Toyota GT86 purtroppo non è in buone condizioni: non disponiamo più dell’ABS e tantomeno dei controlli elettronici di guida, ma non importa: ce la faremo. C’è anche lo sterzo fuori asse, vuol dire che per andare dritto devi tenere il volante girato di 10-15 gradi a sinistra. Ma tu sei tranquillo perché prima di salire in macchina c’è qualcuno tra i tuoi “camerati” che ti rassicura, qualcuno che ha più esperienza di te e ti dice cosa e come fare. E tu fai lo stesso con chi viene dopo di te o con chi si trova nella tua stessa situazione.

Così parti all’attacco: guidare lungo la Nordschleife di notte è un’esperienza ineguagliabile. Per una ventina di chilometri v’è un’interminabile campeggio intervallato dal qualche falò, fuochi d’artificio, luci da discoteca o flash di macchine fotografiche. Alla Hohe Acht all’improvviso sembra esserci nebbia. Invece no: è solo il fumo di una griglia e nell’abitacolo penetra il profumo di salsiccia. Sei talmente vicino al pubblico, con le bandiere svizzere che sventolano al tuo passaggio, che durante la pausa tra un turno e l’altro ti vien voglia di andare a salutarli e ringraziarli per la loro passione e per il tifo. Ma la concentrazione deve restare massima, turno dopo turno: dobbiamo recuperare terreno e al tempo stesso riportare l’auto sana e salva al prossimo pilota, che in fin dei conti è l’obiettivo più grande e la vera forza. Più il conto alla rovescia per la fine della corsa si assottiglia, maggiore diventa la possibilità di farcela e la tensione cresce proporzionalmente.

L’imprevisto però è sempre dietro l’angolo. Per noi poca roba: una sosta di una decina di minuti per sostituire qualche componente a rischio usura. Per i nostri i rivali invece la batosta è decisamente più grande: un secondo incedente li costringerebbe ad una riparazione ma, purtroppo, decidono di ritirarsi a qualche ora dalla fine. Peccato. Nonostante ciò la tensione è comunque altissima perché iniziamo ad essere tutti stanchi: noi piloti avremo dormito al massimo due ore a testa e siamo svegli dalle sette di mattina del giorno prima, i meccanici si appisolano dove possono per un quarto d’ora, la Toyota GT86 continua a girare in pista senza sosta da un bel po’ di tempo. Arrivare al traguardo non è più cosa scontata. Ma ce la facciamo. La bandiera a scacchi appare come un miraggio. L’auto ci passa di fianco. Ce l’abbiamo fatta.

L’entusiasmo iniziale, però, è piuttosto piatto. Siamo tutti esausti, contenti di poter dire: fine. Poi pian piano inizi a rielaborare le emozioni che si sono susseguite mentre le lancette hanno compiuto due volte il giro dell’orologio. Pensi a tutte le strategie di gara discusse fin nei dettagli con il caposquadra, il meccanico responsabile dell’automobile e gli altri piloti che ti hanno aiutato a focalizzarti sul tuo obiettivo. Ricordi quel momento in cui, allacciato in automobile, vedi lo stesso caposquadra rimboccarsi le maniche e prende in mano gli attrezzi per cercare di sistemarti lo sterzo. Ripensi a tutte le volte in cui hai consegnato o preso in consegna l'automobile dal compagno di squadra, a quel breve abbraccio rafforzativo prima di salire in auto e alla fiducia che cresce quando ad ogni cambio pilota basta solo fare il pieno di benzina e ripartire senza doverci mettere mano. Rivivi il momento di rassegnazione in cui una semplice pacca sulla spalla e un “keep smiling” da parte da parte di uno dei meccanici ti ha risollevato facendoti tornare combattivo. E pian piano anche al fatto che non solo hai tagliato il traguardo, ma che a casa ti sei portato anche un trofeo per la vittoria di classe. Tra gli applausi generali, l’immancabile doccia di champagne, le foto di gruppo, le interviste e gli abbracci con i compagni di squadra che si susseguono velocissimi, si fa largo la gioia, una gioia immensa che non manca di far apparire ben più di qualche lacrima anche sui volti dei più “freddi” della squadra. Incluso il sottoscritto. Un pianto di gioia, uno sfogo. “Ce l’abbiamo fatta! We did it! Wir haben es gaschafft!”. Questa si che è un’esperienza che non dimenticherò per il resto della mia vita!

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