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CANTONEMa che bel maglione di lana: finalmente tutto Made in Ticino

22.11.16 - 06:10
Oggi giorno di raccolta dopo la tosatura: 10mila kg all'anno per un giro d'affari di almeno 100mila franchi. Grazie a Wool-Ti, non viene più bruciata: e anche gli allevatori ci guadagnano.
Ma che bel maglione di lana: finalmente tutto Made in Ticino
Oggi giorno di raccolta dopo la tosatura: 10mila kg all'anno per un giro d'affari di almeno 100mila franchi. Grazie a Wool-Ti, non viene più bruciata: e anche gli allevatori ci guadagnano.

GORDOLA - Qualche anno ormai è passato da quando era mero prodotto di scarto; ingombro, fastidio per gli allevatori che ne facevano falò. La lana del Ticino ora diventa berretto, guanto, gilet, maglione qualche volta: raccolta un paio di volte all'anno in corrispondenza della tosatura delle pecore, razza in prevalenza bianca alpina che la fa da padrona a queste latitudini - 18mila esemplari che di anno in anno vengono un poco di meno. Il giorno è oggi, 22 novembre: il centro lavaggio di Gordola la riceve fra le 9 e mezzogiorno, pronto a ripulirla perché possa esser lavorata, venduta in matasse o in capi da indossare.

Un impianto «unico al mondo» - Wool-Ti inizia a mietere i suoi frutti: progetto per valorizzare un'arte in declino quando nacque, nel 2012 in collaborazione con la Supsi. Finanziamento complessivo «importante», ricorda Marcel Bisi, presidente dell'associazione Pro Verzasca, fondata nel 1933 «proprio allo scopo di sostenere la lavorazione della lana». Prima la creazione di un impianto di lavaggio «unico al mondo nelle sue dimensioni così modeste»: utile a non dipendere da Biella con i suoi ritmi e quantitativi senza paragone, 60mila chili al giorno là e appena mille all'anno di qua. Poi il resto della filiera: cardatura, pettinatura, stiratura, filatura. «Una trasformazione semi-meccanica della lana, con cui siamo operativi dal dal 2015». E adesso la terza fase, per la tintura a Sonogno: un paio di volte l'anno, tre-quattrocento chili per un lavoro di due tre settimane. «Il prossimo passo? Potrebbe essere la tessitura con dei microtelai».

Fra 80 e 120 centesimi di franco al produttore - Diecimila chili ogni anno in Ticino: 9mila la lana corta e un migliaio la lunga, per un giro d'affari teorico di 100-200mila franchi. Al produttore vanno 80 centesimi per ogni chilo di lana corta, compenso destinato a chi tosa gli animali due volte l'anno; un franco e venti invece per quella lunga, una volta sola. Conviene meno, a conti fatti: «Ma a volte il contadino ha piacere che la sua lana si trasformi in qualcosa di pregio», invece del feltro che, assieme all'isolamento termico, è la conversione che attende la lana corta.

Filata a mano? Fanno 200 franchi al kg - Tolta infatti quella meno nobile, la cui gestione è affidata alla Fiwo di Amriswil, canton Turgovia, il prezzo della lana lunga oscilla fra i 100 e i 200 franchi al chilo: a seconda che sia venduta come lana filata per la maggior parte (600 kg circa), maglieria (300 kg) o fiocchi e lana cardata, il resto. «In fiocco fanno 80-90 franchi il chilo. Filata si arriva anche a 9-11 franchi ogni gomitolo da cinquanta grammi che viene realizzato a mano, mentre la matassa di filato a macchina, più adatta alla tessitura che alla maglieria, fa 110-120 al kg. Di quella filata, circa l'80% è fatta a mano, grazie alle collaboratrici sparse per il Ticino».  

Niente chimica: si tinge con i colori della natura - Prima di affidarla a loro, però, c'è da renderla adatta al mercato: con il colore, impresso grazie a ingredienti tassativamente naturali. La buccia di cipolla per il giallo, la corteccia di robbia per il rosso-marrone, il mallo della noce per il marrone chiaro, l'indaco il blu. Eccezione il nero, realizzato chimicamente: «Infatti non lo facciamo volentieri». Lo impone l'ovvia legge della domanda e dell'offerta. «I colori sono decisi dal mercato, in base alle richieste e alle mode. A volte si realizzano di quelle tonalità fantastiche», si compiace Bisi. L'impianto per la tintura, ultimo atto di un macroprogetto finanziato quasi per intero dalla Confederazione, importo intorno al milione, entrerà a regime nel 2018, assieme a quello per la realizzazione del feltro che renderà indipendenti dalla Svizzera interna.

Ma addio scialle: e anche il maglione piace sempre meno - A questo punto si, non resta che filare. «Avremo una ventina di collaboratrici, per lo più donne in pensione. Fuori dal Ticino c'è anche qualche uomo. Filano secondo il tempo libero e gli impegni domestici, in media 2-3 chili al mese. Dipende anche dai periodi dell'anno: c'è chi lo fa solo d'inverno, chi d'estate quando sale in montagna». È la lana adatta alle realizzazioni con i ferri, alla stregua di una volta: venduta nel negozio di Sonogno, con sempre maggior difficoltà da queste parti. «Perché la lana sa di campagna, ha un retrogusto contadino che non attrae più». Così, anche le lavorazioni di maglieria sono sempre meno. «Sono calate della metà, rispetto a dieci anni fa». Lo scialle non si usa più, ma anche la lana da indossare è in declino. «I maglioni li realizziamo oramai solo su commissione. Venti, trenta all'anno. In questo caso, i numeri sono ancor piùu miseri e in ribasso: le collaboratrici saranno cinque o sei».

Il miglior cliente? È svizzere tedesco - Non aiuta il prezzo o meglio il franco forte, 300 franchi che una volta attiravano l'area euro. «Ma la lana alla fine la vendiamo tutta, in una forma o nell'altra. Grazie alla Svizzera tedesca, che ha sostituito il cliente italiano: ed è molto legata al concetto di prodotto locale, ecologico e sociale». E il futuro? Un po' fa paura. «Il numero degli allevatori e delle pecore sta calando sensibilmente. Però qualche segnale di speranza c'è. Qualche giovane che si avvicina. All'inizio, è stata dura. La gente si è dovuta abituare all'idea che la lana non fosse perfettamente bianca. Non si capacitava del fatto che quella importata dalla Nuova Zelanda fosse così candida e la nostra non altrettanto: abbiamo dovuto spiegare che quella straniera era semplicemente sbiancata chimicamente». 

Dal Ticino al resto del mondo: «Per la lana ho lasciato il lavoro» - Resta, per la cronaca, anche chi non rientra nelle statistiche: e la vende a chi la lavora all'ingrosso o ne fa una produzione domestica. Ma «come Pro Verzasca possiamo essere fieri dei risultati raggiunti. Unendoci, abbiamo impedito che tanta lana venisse bruciata». Per dar vita a qualcosa che, oggi, viene preso a modello e si tenta di riprodurre altrove. «Da questa esperienza è nata una start-up ad hoc. Io mi occupo dello studio di fattibilità di progetti analoghi. Uno è attualmente in corso nel canton Giuda. Altri sono stati realizzati a Bolzano, in Umbria, in Sicilia». Cinquantacinque anni, fino all'anno scorso Bisi si occupava di commercio e consulenza. Poi ha lasciato tutto. «Credo molto nella lana del Ticino».

 

 

 

 

 

 

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