Un fenomeno preoccupante in Ticino, dove si diffondono i contratti a tempo parziale con la clausola della disponibilità che impegna a tempo pieno, ma senza remunerazione adeguata
LUGANO - Crescono i tempi parziali, ormai arrivati al 38% in Svizzera. Crescono soprattutto i tempi parziali brevi, con un grado di occupazione che facilmente scende sotto al 50%. «Ci stiamo avviando verso un'economia dei lavoretti», non può che rammaricarsi Christian Marazzi, economista e docente Supsi specializzato in lavoro sociale. Ma a preoccupare, in questa realtà per sommi capi già sentita, è qualcosa di più grave, conseguenza diretta di una tendenza evidente a risparmiare sui costi che prende derive al limite della legalità.
Ufficialmente liberi, praticamente occupati - Un fenomeno scoperto un po' per caso, mentre si raccoglievano testimonianze per un indagine sul lavoro gratuito in Ticino e le sue forme. Eccone una che ha spiazzato gli stessi ricercatori. «La clausola della disponibilità nel tempo di non lavoro, prevista per contratto – svela Marazzi – Sempre più spesso si esige dal dipendente part-time la disponibilità ad andare a lavorare fuori dall'orario contrattualizzato».
«Così ci si appropria della vita della gente» - Ufficialmente liberi, praticamente occupati, ma senza ricevere un soldo. Telefono a portata per non perdersi la chiamata eventuale, che magari non arriva ma impedisce di dedicarsi al resto o di incrementare le entrate con una seconda occupazione. «È una forma non riconosciuta di lavoro gratuito che si sta diffondendo in maniera preoccupante in Ticino», che si allinea al resto della Svizzera e appena può trasforma i tempi pieni «in tempi parziali, sempre più brevi. Ma si tratta di falsi tempi parziali: si riduce il tempo di lavoro pagato, ma si ha a disposizione personale mobilizzabile al bisogno. In questo modo, ci si appropria del tempo e della vita delle persone, senza remunerarle. La gente accetta perché non può fare altro, ma non è ammissibile».
Il diritto (taciuto) a un indennizzo - Per la giurisprudenza, è un tipo di contratto su chiamata. «E il tribunale federale ha stabilito che chi lo sottoscrive ha diritto a un equo indennizzo per le ore in cui si mette a disposizione», spiega Giuliano Butti dell'Ocst. Vale il celebre concetto del tempo che è denaro. Non tutti però lo sanno o ne comprendono il senso e il datore di lavoro tende a guardarsi bene dall'informarli: «È un abuso, una precarizzazione che scarica sul dipendente il rischio d'impresa. Si tratta di un fenomeno da combattere».