Per le persone più sensibili può diventare un vero disagio e trasformarsi in patologia
BERNA - Per molti è quasi un incubo: trovarsi gomito a gomito con i colleghi, simpatici o sgradevoli che siano; sentirsi osservati, ascoltati, spiati, al telefono o davanti allo schermo di un computer. Per non parlare poi dell'effetto deconcentrazione: giurano gli studi che sia più proficuo lavorare dentro un bar dove la gente sconosciuta fa baccano piuttosto che in un open space dove le conversazioni sobrie di persone conosciute, potenzialmente rilevanti anche per se stessi, distolgono l'attenzione dal proprio operato.
Per gli individui più sensibili e timidi, però, può diventare anche un problema serio, portare addirittura alla malattia. Tanto che il tribunale amministrativo federale ha deciso di riconoscere a posteriori a una dipendente dell'Ufficio federale dell’informatica e della telecomunicazione (Ufit), 51 anni, il diritto di lavorare da casa negatole tre anni fa. La donna, che per questo aveva dovuto rescindere il rapporto, riceverà come risarcimento sei mensilità.
Un precedente che al momento resta un'opzione non obbligatoria per le aziende, decise a puntare sugli open space come luoghi dove si favorisce lo scambio di idee e si sviluppa lo spirito di squadra. Verità o alibi, resta il fatto che, a dispetto dell'ascesa del co-working, il lavoro in aree condivise è una fatica per più di quanti si creda. Così si fanno strada da più parti i consigli per la sopravvivenza: armarsi di cuffiette, pranzare fuori, scegliere una postazione defilata e tenersi davanti qualcosa di caro, come una fotografia.