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Dal MondoCASO CALVI: Il Mistero che attraversa il confine italo-ticinese

28.03.02 - 11:43
Roberto Calvi, il Presidente del Banco Ambrosiano con villa a Drezzo, al confine con il Ticino, fu trovato impiccato sotto al ponte dei Frati Neri a Londra nel 1982. Il figlio oalla “Nadir Press” dichiara: “La morte di mio padre ha ritardato Mani Pulite di dieci anni”.
Foto Archivio: I coniugi Calvi in una foto degli anni '70
CASO CALVI: Il Mistero che attraversa il confine italo-ticinese
Roberto Calvi, il Presidente del Banco Ambrosiano con villa a Drezzo, al confine con il Ticino, fu trovato impiccato sotto al ponte dei Frati Neri a Londra nel 1982. Il figlio oalla “Nadir Press” dichiara: “La morte di mio padre ha ritardato Mani Pulite di dieci anni”.
DREZZO –Quello di Roberto Calvi è uno dei tanti, troppi, misteri che da anni aleggiano sull’Italia. Uno “scheletro” che saltella da un armadio all’altro del Belpaese che conta: dall’alta finanza, alla politica d’altro bordo. Fino al Vaticano e la sua potentissima banca, lo I.O.R., un forziere colmo di denari tanto da far impallidire il deposito di Paperon De Paperoni. Ed è un mistero che passa anche, e soprattutto, dalla mega villa che Calvi possedeva a Drezzo, piccolo paese della provincia di Como al confine con il Ticino: e per confine si intende che la recinzione della villa, attraverso un cancelletto posto in un punto defilato del grande parco, da accesso dritto alla Confederazione. Nel piccolo cimitero di Drezzo la salma di Calvi è rimasta sepolta per diverso tempo fino a quando alcuni anni fa il Giudice dell’Indagine Preliminare di Roma, Ottavio Lupacchini, ne dispose la riesumazione per nuovi esami autoptici che, riferì un anno fa il domenicale inglese “Sunday Time”, avrebbero rivelato elementi tali da suffragare con ancor più vigore la tesi dell’omicidio. Già… la morte del banchiere è un apparente suicidio dal sapor di presunto omicidio. Dopo la riesumazione la salma è stata sepolta in Valvarrone, nel Lecchese, dove già riposavano suoi parenti. A Lecco vive un fratello medico che non ha mai voluto “entrare nell’argomento”. In quella mega villa, se i muri potessero parlare, confermerebbero di come si nascondono i segreti di una morte indecifrabile. In quella villa di Drezzo non sono mancate cenette e cenoni con viavai di personaggi di spicco dell’epoca: politici, imprenditori, editori, esponenti della Giustizia: a livello nazionale e a livello locale. E tutti accomunati da una “passione”: la massoneria. Ed è proprio dietro l’occulto mondo massonico che si cela quella verità che si fatica a far emergere. Che sembra impresa impossibile. Chi finora ci ha tentato, ha trovato frapposti mille ostacoli. Mille e più intoppi come quelli che hanno caratterizzato la realizzazione del film-denuncia “I banchieri di Dio” del regista Giuseppe Ferrara e “stoppato” con propria sentenza dal Tribunale civile di Roma accogliendo la richiesta in tal senso di Flavio Carboni, uno dei principali ed oscuri personaggi che ruotano attorno alla morte di Calvi. Nel film, d’altronde, è facilissimo individuare Carboni come una delle menti, se non “la mente” di quello che il film ricostruisce come un omicidio lasciando pochi margini alla fantasia e all’ipotesi di suicidio. Un film che rievoca anche il “grande gobbo” della politica italiana: quell’Andreotti che in anni e giorni recenti nelle aule di Giustizia lo si indica legato ai potenti “Mammasantissima” della Mafia siciliana, dei Corleonesi. Ed è un regista molto amareggiato dopo lo stop al film. Amareggiato e deluso. Ferrara crede che il provvedimento sia pieno di ingiustizie e annuncia un ricorso: “Non me lo aspettavo - dice -. Non credevo che l’Italia fosse caduta così in basso”. E aggiunge: “Mi vergogno quasi di essere un cittadino italiano”.

IL MISTERO DI ROBERTO CALVI

Doveroso a questo punto, soprattutto per chi è giovane e non ha vissuto in quegli anni caratterizzati non solo dal mistero di Roberto Calvi, ma anche di altri come quello di Ustica, ad esempio, ripercorrere le tappe di una vicenda che forse mai la sua verità verrà a galla. A livello nazionale, ma anche locale comasco-ticinese chi poteva portare “un contributo di testimonianza” è già passato al Creatore, altri fanno come le tre scimmiette: “non vedo, non sento, soprattutto non parlo”. Degli episodi legati alla “bella vita” consumatasi nella villa di Drezzo resta ben poco, a distanza di anni. Il figlio e la madre da tempo vivono a Montreal. Ma entrambi sono convinti di una cosa: l’allora Presidente del Banco Ambrosiano è stato ucciso. Secondo Carlo, addirittura “La morte di mio padre ha ritardato Mani Pulite di dieci anni”. Nel giallo sulla morte di Roberto Calvi si intrecciano mafie, massoneria, politica: persino la banda della Magliana. Disse la vedova Calvi alla Commissione Parlamentare sulla Loggia P2: un documento venuto a galla una decina di anni fa indicava almeno 20 eccellenti nomi fra comaschi e lecchese vicini al mondo degli “incapucciati”. Lo svelò, quell’elenco, un modesto giornalista radiofonico alle prime armi nel suo notiziario in onda la sera della Vigilia di Natale facendo parecchio rumore e mettendo nelle condizioni anche la stampa locale ad occuparsene. Disse la vedova Calvi alla Commissione Parlamentare: “A casa nostra andavano e venivano fior di pezzi grossi legati alla politica, all’economia, all’alta finanza: tutti legati alla massoneria”. La vedova in quell’audizione spese anche il nome di personaggi di rilievo della città di Como e dei suoi dintorni, almeno un paio di questi recentemente scomparsi e non certo sconosciuti nei corridoi del Palagiustizia di Largo Spallino. E allora ripercorriamo insieme le tappe fondamentali di quel 20 giugno di vent’anni fa quando Roberto Calvi fu trovato appeso al Ponte dei Frati Neri di Londra.

I giornali non uscivano da due giorni per uno sciopero. Il primo lancio d’agenzia arrivò sulle telescriventi delle redazioni alle 11.17 di domenica 20 giugno 1982: “Il Presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi, è stato trovato morto venerdì 18 a Londra. Un passante si è imbattuto verso le 06.30 locali (le 7.30 di Roma) nel corpo esanime di Calvi, appeso ad un’impalcatura sotto il ponte di Blackfriars, sul Tamigi”. Calvi era il Presidente del Banco Ambrosiano, allora crocevia di intrighi, affari, politica, scenari internazionali impastati di scandali, in un qual certo senso, se si vuole, precursori degli attuali “Montedison”, “Lodo Mondadori”, “Imi-Sir”, tanto per citarne i primi che ci passano per la capoccia. Calvi era un esponente di spicco della finanza cattolica, ma anche membro di una loggia massonica inglese sulla quale non era estranea neppure la pressione della finanza laica. Come Michele Sindona, pure Roberto Calvi era iscritto alla P2 e la sua avventura ai vertici dell’Ambrosiano era cominciata proprio nel 1975, quando il banchiere di Patti, dopo il crack della sua Banca Privata, era riparato a New York. Ad accomunare i loro destini, oltre al decesso di entrambi in un’atmosfera quantomeno ricca di inquietanti e suggestivi pinti di domanda rimasti a tutt’oggi senza risposte concrete (il banchiere di Patti morirà infatti nel 1987 nel carcere di Voghera dopo aver bevuto un caffè al cianuro), c’era l’indubbia spregiudicatezza professionale che aveva portato i loro affari e le loro iniziative ad incrociarsi all’interno di un sistema societario fondato sulle “scatole vuote”, le società off-shore alle Bahamas, le holding in Lussemburgo, le casseforti in Svizzera: furono, si potrebbe dire, i precursori degli attuali “tesorieri” della malavita organizzata che proprio in Ticino ha riciclato, e ricicla, montagne di soldi, denaro a palate. Cosicché nelle inchieste su entrambi i casi non potevano che mescolarsi alla rinfusa tracce di massoneria, mafia, servizi segreti deviati, mercanti di armi, contrabbandieri che conoscono quelle “vie di Ho ci min” usate per trafficare clandestinamente sigarette sin dall’epoca delle bricolle, politici, banchieri, protagonisti e comparse di vicende finanziarie i cui filoni per un po’ s’intersecavano, ma poi scomparivano senza lasciare traccia. Ecco perché, per ricostruire il clima di quegli anni, sono anche scaturiti documentatissimi libri-inchiesta, memoriali e persino un avvincente film. E Carlo Calvi, figlio del banchiere, non ha mai nascosto il suo sconcerto nei confronti della Polizia inglese per aver chiuso troppo in fretta le indagini: “Ho l’impressione – ha avuto modo di sostenere alla “Nadir Press” che lo ha raggiunto telefonicamente in quel di Montreal – che mio padre fosse un uomo che aveva le doti giuste per avanzare ancora in carriera, ma non aveva quelle per gestire un Ambrosiano ormai di dimensioni impensabili. Non si sapeva muovere nel mondo della finanza. Non sapeva gestire le alleanze opportune. Ma il crack dell’Ambrosiano non fu provocato da ingenuità. Secondo me – ha aggiunto Carlo Calvi – a un certo punto mio padre finì nelle mani di personaggi ambigui: oscuri. Non è assurdo pensare che tramite la P2 e la mafia si siano trovati a Londra dei delinquenti comuni disposti a farlo fuori. Lo scopo? Se mio padre avesse parlato, i Giudici di Milano non avrebbero dovuto aspettare dieci anni prima di iniziare le inchieste che hanno portato a Mani Pulite. La lotta contro la corruzione sarebbe andata in maniera più veloce… Molte delle cose che accaddero all’epoca, continuano ad avere un peso anche oggi. Non si tratta di una storia morta e sepolta. Mio padre fu ucciso perché ad un certo punto qualcuno comprese che era diventato l’anello debole attraverso il quale poter scoprire già negli anni Ottanta, gli stretti legami tra mafia e politica. Quando hanno capito che attraverso di lui qualcuno di quei retroscena correva il rischio di essere svelato, ecco che lui fu costretto a fuggire a Londra e lì assassinato”. L’indagine ufficiale della Polizia inglese parlò comunque di suicidio. E in chiave di “misteri d’Italia” ancorati innanzitutto ai riscontri di cronaca, qui conta per primo ricostruire giallo, clima, indiscrezioni, accertamenti, percorsi, eccetera che per l’appunto si conclusero con il ritrovamento del cadavere penzolante dal lato settentrionale dell’impalcatura sotto il ponte dei Frati Neri. In quel 1982 sotto la giurisdizione di Teodoro Fuxa, Console generale d’Italia a Londra, rientravano almeno 80 mila italiani. E non era raro che Fuxa venisse avvertito dalla Polizia della City che qualcuno degli 80 mila italiani doveva essere rimpatriato con il foglio di via obbligatorio per aver combinato qualche sciocchezza o perché era finito in prigione. La telefonata però che arrivò intorno alle 10.30 di quel 18 giugno era di tenore diverso: comunicava a Fuxa che tre ore prima un impiegato della City, camminando lungo la riva del fiume, aveva visto un cadavere che penzolava dal secondo piolo. Alla River Police, accorsa sul posto, non era rimasto che tagliare la corda e iniziare i primi accertamenti. Che il morto non fosse un poveraccio lo si era subito capito dall’elegante vestito che indossava. E nelle tasche erano stati rinvenuti 17 milioni di lire dell’epoca in contanti, soprattutto in dollari e franchi svizzeri. Di due orologi rinvenuti addosso, quello da polso si era fermato all’una e 52, quello da taschino era invece fermo alle cinque e 49. Alla rinfusa nelle tasche, ecco alcuni foglietti di carta di un’agenda con indirizzi vari e il biglietto da visita di un famoso notaio della City. Come zavorra erano state infilate anche pietre che pesavano almeno cinque chili. Ed infine ecco il passaporto bagnato sul quale però si leggevano distinte le generalità: Gian Roberto Calvini. Domanda ovvia della Polizia al Console generale d’Italia: gli dicevano nulla quel nome e cognome? Teodoro Fuxa, che aveva letto delle vicende di Calvi soprattutto sulla stampa italiana, ebbe subito i primi sospetti. Ma qualche ora dopo gli bastò vedere la foto sul passaporto e quella del cadavere per averne la certezza. Alle quattro del mattino successivo non gli restò che attendere l’arrivo da Roma a bordo di un aereo militare del Magistrato Domenico Sica e di alcuni funzionari della Polizia italiana. Spettò al fratello dello scomparso concludere le formalità d’identificazione del cadavere. Sin dall’inizio la Polizia della City si mosse per l’ipotesi del suicidio. Eppure gli stessi giornali inglesi mettevano l’accento su certe “stranezze”: quello dell’Ambrosiano era stato in Italia il crack bancario più colossale del dopoguerra. Il “banchiere di Dio” aveva avuto per anni rapporti speciali con il Vaticano e di quale natura e intensità fossero stati bastava leggere i giornali italiani. In quanto membro della P2, risultavano sempre più evidenti anche gli stretti legami tra Calvi ed eminenti piduisti e boss mafiosi. E perché infine non leggere dei “messaggi” precisi anche nel modo e nel luogo in cui era stato fatto trovare il cadavere? Ecco le pietre in tasca. Ecco la scelta del ponte dei Frati Neri (nome di una loggia massonica inglese). Ecco l’acqua del fiume che arrivava a lambire i piedi del morto. Ed ecco soprattutto un’infinità di voci non solo relative agli intrecci politica-mafia-P2 ma anche al fatto che l’Ambrosiano del “banchiere di Dio” potesse essere implicato nel commercio di armi in America Latina dove si era appena conclusa la guerra delle Falklands, un conflitto che mise non poco in “imparazzo politico internazionale il Principe Carlo d’Inghilterra: ergo, aveva anche un significato che il ponte dov’era stato rinvenuto il cadavere fosse dipinto di bianco e d’azzurro, cioè i colori della bandiera argentina? La Polizia inglese non vide l’ora di liberarsi di quel caso scottante la cui eco in Italia si ingrossava giorno dopo giorno. Cosicché in meno di un mese approntò il dossier e il 23 luglio 1982, in un’udienza che si concluse intorno alle 22.00, il Coroner mostrò la stessa speditezza degli inquirenti, raccomandando sostanzialmente ai giurati di non emettere un verdetto dubbio poiché avrebbe significato vestire i panni dei Ponzio Pilato. Risultato: un po’ per la stanchezza, un po’ perché tutte le testimonianze presentate dalla Polizia sposavano la tesi del suicidio, questa prevalse. Ergo, per gli inglesi, capitolo chiuso. Ma é stato suicidio? Come il morto aveva trascorso le ultime settimane, compresi i suoi giorni a Londra? Solo due degli interrogativi che accompagnano ancora oggi gli scheletri saltellanti da un armadio all’altro dell’Italia che contava, e che conta: dall’alta finanza, alla politica d’altro bordo. Fino al Vaticano e la sua potentissima banca.

di Bob Decker

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