Però ha avuto spesso, all'inizio, rapporti conflittuali con l'establishment intellettuale e letterario, avendo cominciato a scrivere romanzi di critico e colorito realismo di costume negli anni della nascita della neoavanguardia del Gruppo '63 (che definiva "Liale" Cassola e Bassani), avendo avuto subito successo anche nel cinema, come regista, e arrivato a concorrere e vincere tra aspre polemiche lo Strega (con "L'occhio del gatto") in un anno particolare come il 1968, due anni dopo aver già vinto il Campiello con "Questa specie di amore".
Del resto Bevilacqua è stato autore che, maturando e crescendo come scrittore, ha passato varie fasi, da quella degli inizi, che parte a metà anni '60 e lo fa accomunare a una linea narrativa che potrebbe andare tra Giovanni Arpino e Piero Chiara, i cui primi titoli furono "Una città in amore" (riscritto nel 1988) e "La califfa", suo primo grande successo, che tradusse lui stesso in film nel 1970, a una scrittura di natura quasi onirica, di un realismo fantastico nella sua attenzione all'inconscio e a un extra sentire (e c'è chi lo ha imparentato allora con Malerba o un certo Siciliano, ma con in più un qualcosa di iniziatico) da un bel romanzo, uno dei suoi migliori, come "Umana avventura" a gran parte della produzione anni '80 e '90, sino ai libri di narrativa autobiografica e i versi dedicati al rapporto con la madre.