La previsione dell'Organizzazione mondiale della sanità. Preoccupano le varianti del virus
GINEVRA - Nonostante la disponibilità dei vaccini, l'immunità collettiva contro il Covid non sarà raggiunta nel corso del 2021. È quanto prevede l'Oms, che lo ha comunicato nel corso del suo consueto briefing.
«Non torneremo rapidamente alla normalità. Dobbiamo ottenere l'immunità di gregge, ma non la vedremo nel 2021», ha detto Dale Fisher, alto funzionario e presidente della rete di allerta e risposta alle epidemie dell'Oms.
Le varianti di Sars-CoV-2 - A rendere più incerto il futuro c'è anche la presenza di alcune varianti del virus, altamente problematiche considerando la situazione ospedaliera già al limite per molti paesi. «Limitare la trasmissione di Sars-CoV-2 limita la possibilità di sviluppare nuove varianti pericolose», ha detto il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus. «Con nuove cure in arrivo, speriamo si possano salvare più vite in caso di malattia grave. Ma ora più che mai dobbiamo seguire le basi di salute pubblica».
La dottoressa Soumya Swaminathan, capo ricercatrice dell'Organizzazione, ha quindi ribadito l'importanza di continuare a mantenere le distanze sociali e utilizzare le mascherine.
Il gruppo di ricerca e sviluppo Blueprint dell'Oms, ha spiegato Ghebreyesus, convocherà martedì gli scienziati di tutto il mondo per pianificare e stabilire quali sono le priorità di ricerca globali per il 2021, comprese «le varianti di virus e il loro sequenziamento». Un fattore cruciale per «sapere come sta cambiando e come rispondere».
Dall'inglese alla giapponese - (Ats Ans) Sono migliaia le mutazioni del virus Sars-Co-V-2, ma da queste sono finora emerse poche varianti principali, diffuse nel mondo, vere e proprie sorvegliate speciali da chi segue l'andamento dell'epidemia. È stata segnalata recentemente anche una variante comparsa in Giappone che, secondo gli esperti, richiede ulteriori verifiche.
La prima variante in ordine di comparsa è quella indicata con la sigla D614G, che si è diffusa in molto velocemente e che, come la maggior parte delle varianti in circolazione, riguarda la proteina Spike, che è la principale arma utilizzata dal virus per aggredire le cellule umane. Questa mutazione, identificata anche negli Stati Uniti, permette al virus di trasmettersi più facilmente, ma non lo rende più letale.
La variante inglese, indicata con le sigle 20B/501YD1 oppure B.1.1.7, è caratterizzata da ben 23 mutazioni, 14 delle quali sono localizzate sulla proteina Spike. È comparsa in Gran Bretagna in settembre ed è stata resa nota a metà del dicembre scorso. Finora è stata identificata in 33 Paesi, compresa la Svizzera. Anche in questo caso a preoccupare è il fatto che la mutazione rilevata nella posizione 501 della proteina Spike può rendere il virus più contagioso.
È indicata con la sigla N501Y la variante del virus isolata in ottobre Sudafrica. Caratterizzata da una maggiore capacità di contagio e da una carica virale più alta, anche questa è legata a più mutazioni localizzate sulla proteina Spike.
Altre mutazioni nella stessa proteina hanno portato alla variante N501T.
Viene infine indicata con "cluster 5" la variante comparsa negli allevamenti di visoni in Danimarca e trasmessa all'uomo.
Sono inoltre presenti le varianti 20A.EU1 e 20A.EU2, comparse in estate in Spagna e che si sono diffuse in Europa all'inizio dell'autunno.