La Corte Suprema ha dato torto al primo ministro Boris Johnson che è stato successivamente attaccato da più parti. Domani si riparte
LONDRA - La Corte Suprema britannica ha stabilito che la sospensione del Parlamento voluta dal primo ministro Boris Johnson è «illegale, nulla e priva di effetti». Il duro verdetto è stato letto dalla presidente, Lady Brenda Hale.
È come se il Parlamento non fosse «mai stato prorogato», ha decretato la Corte, attribuendo ora agli speaker di Comuni e Lord il potere di riconvocare le Camere quanto prima e dichiarando 'l'advice' del premier alla regina immotivato e inaccettabile in termini di limitazione di sovranità e poteri di controllo parlamentari.
Lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, ha annunciato che il Parlamento britannico riprenderà i lavori domani. Si tratta di una "ripresa" dei lavori e non di una "riconvocazione", ha precisato.
Bercow ha inoltre aggiunto che non ci sarà il Question Time del mercoledì del premier (in questi giorni a New York all'Onu), ma vi sarà spazio per interrogazioni urgenti ai ministri.
La sterlina si rafforza - La Borsa di Londra ha invertito la rotta, così come la sterlina, in seguito alla clamorosa decisione. Il listino londinese è passata in negativo e perde lo 0,21%, unico nel Vecchio Continente in ribasso, mentre la sterlina ha cambiato direzione nel verso opposto e si rafforza sulle altre valute: viene scambiata a 1,133 sull'euro (+0,2%).
Johnson non si dimetterà - Boris Johnson, nelle scorse ore, non vedeva motivi per dimettersi neppure in caso di verdetto a lui sfavorevole. «Vediamo cosa i giudici decideranno, ma, come ho già detto, credo che le ragioni» addotte dal governo per sospendere i lavori della Camere per un periodo prolungato restino «davvero molto buone», ha risposto il premier Tory interpellato al riguardo nelle scorse ore dai giornalisti britannici a New York, a margine dell'assemblea dell'Onu.
Johnson non ha inoltre escluso la possibilità di riproporre la proprogation con un nuovo atto, in forma giuridica diversa, a seconda delle motivazioni della Corte. E ha insistito che il Parlamento avrà «un sacco di tempo per valutare il deal» sulla Brexit che egli «spera di poter raggiungere» entro il Consiglio Europeo del 17-18 ottobre anche tornando a riunirsi il 14.
Le reazioni:
Le opposizioni contro il primo ministro - Partono le richieste di dimissioni nei confronti di Boris Johnson. La prima a parlare di dimissioni come «la prima cosa decente» che Johnson dovrebbe fare è stata Joanna Cherry, deputata indipendentista scozzese dell'Snp, in prima fila in uno dei ricorsi presentati contro la sospensione. Secondo Cherry, il verdetto stabilisce che «nessuno, neppure un monarca, è al di sopra della legge». Voci in favore delle dimissioni arrivano anche dal Labour, mentre per la leader liberaldemocratica Jo Swinson, «Johnson non è adeguato a fare il primo ministro». Un verdetto «storico» che certifica «il disprezzo del Parlamento» di Johnson, ha commentato a margine del congresso del Labour a Brighton, il leader dell'opposizione parlamentare a Westminster, Jeremy Corbyn. Il Parlamento britannico - ha aggiunto Corbyn - va riconvocato subito e Boris Johnson deve «valutare la sua posizione» di primo ministro. Esulta anche Gina Miller, l'attivista pro Remain promotrice di un altro dei ricorsi, secondo cui la sentenza non è politica, ma fa valere la legge e ripristina «lo stato di diritto». Anche per lo speaker dei Comuni, John Bercow, «il Parlamento deve tornare a riunirsi il prima possibile». Bercow ha annunciato un rapido giro di consultazioni con i leader di tutti i partiti al fine di riprendere al più presto le attività parlamentari.
Anche Farage contro Johnson: «La sospensione? Che errore» - La scelta del governo Tory di Boris Johnson di cercare d'imporre una sospensione prolungata del Parlamento britannica è stata «la peggiore decisione politica» di tutti i tempi. Lo scrive su Twitter il leader del Brexit Party, Nigel Farage, secondo il quale la strategia avrebbe dovuto essere semplicemente quella di puntare a un divorzio «no deal» dall'Ue, magari attraverso il passaggio delle elezioni. Per Farage, il primo a doversi dimettere adesso dovrebbe essere Dominic Cummings, il sulfureo e divisivo guru elettorale divenuto capo stratega di Downing Street dopo l'avvento di Johnson. Ora «Dominic Cummings deve andarsene», scrive il numero uno del Brexit Party.