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BIRMANIA/VIETNAMAung San Suu Kyi: «Non sono stati condannati perché sono dei giornalisti»

13.09.18 - 12:01
La leader birmana si è espressa per la prima volta sul caso dei due reporter di Reuters incarcerati
Keystone
Aung San Suu Kyi: «Non sono stati condannati perché sono dei giornalisti»
La leader birmana si è espressa per la prima volta sul caso dei due reporter di Reuters incarcerati

NAYPYIDAW/HANOI - Per la prima volta dalla sentenza che, il 3 settembre scorso, ha visto condannare due giornalisti birmani che indagavano sui crimini commessi contro i rohingya, la leader del Myanmar, Aung San Suu Kyi, ha commentato il controverso verdetto.

«Non sono stati condannati perché sono dei giornalisti, sono stati condannati perché la corte ha stabilito che avevano infranto la Legge sui segreti ufficiali», ha dichiarato la premio Nobel per la pace al World Economic Forum on Asean di Hanoi, in Vietnam. «Il caso è stato discusso a porte aperte, tutte le udienze erano aperte a chiunque volesse assistervi: se c’è qualcuno che pensa che ci sia stato un errore giudiziario mi piacerebbe che lo indicasse», ha aggiunto. Per Aung San Suu Kyi, il verdetto «non ha assolutamente niente a che fare con la libertà di espressione» e i reporter condannati «hanno il diritto di ricorrere in appello».

Wa Lone e Kyaw Soe Oo sono stati condannati a sette anni di reclusione per aver ricevuto da due poliziotti dei documenti considerati segreti. I due - che stavano indagando sull’uccisione di dieci persone appartenenti alla minoranza musulmana rohingya - dicono di essere stati vittima di una trappola.

KeystoneKyaw Soe Oo dopo la sentenza

Gli Stati Uniti e le Nazioni Unite, fra gli altri, avevano chiesto la liberazione dei due reporter di Reuters. La sentenza è vista dagli attivisti per i diritti umani come un attacco alla libertà di stampa.

KeystoneRohingya in fuga

Aung San Suu Kyi è già stata aspramente criticata, in passato, per la sua inazione nella presunta pulizia etnica ai danni dei rohingya avvenuta nello Stato birmano del Rakhine. Un rapporto dell’Onu pubblicato a fine agosto ha stabilito che la leader, in quell’occasione, «non ha usato il suo ruolo di capa di Stato de facto né la sua autorità morale per fermare o prevenire quanto avveniva nel Rakhine».

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