Minaccia domata ma non sconfitta quella dello Stato Islamico, ritornato a fare paura. Ce lo racconta in esclusiva la nostra inviata
DAMASCO - Da quando sono in Iraq per 20 Minuten, ovvero da inizio luglio, l'Isis è piano piano tornato un argomento ricorrente. Un filmato di un'esecuzione di alcuni militi delle forze di sicurezza irachene, rapiti a un finto posto di blocco, ha riportato rapidamente in auge quella paura dimenticata.
Tanto che viaggiare in auto dall'importante città petrolifera Kirkuk a Bagdhad sull'autostrada si è praticamente da soli, per i viaggi a lunga percorrenza la gente preferisce l'aereo: «Pensavamo la situazione fosse di nuovo sotto controllo, e invece...», ci racconta Rawand (30 anni) scappato da Kirkuk nel 2014 quando lo Stato Islamico imperversava.
È vero, l'Isis è un ombra di sé stesso: controlla il 98% di territori in meno ma resta una minaccia attiva e pugnace. Nell'Iraq centrale è attivo in diverse provincie, soprattutto di questi tempi. In Siria, invece, si muove soprattutto nelle aree desertiche a est. In entrambi i casi approfitta del territorio collinoso, dell'aiuto degli autoctoni e di tattiche da guerriglia.
Ben lungi dall'essere un vero e proprio esercito, Daesh può contare oggi sul “solo” 3'000 uomini in Iraq e un paio di migliaia in Sira. Fra di loro diversi foreign fighters. Ultima roccaforte del Califfato la città siriana di Hajin dove si nasconderebbe anche Abu Bakr al-Baghdadi. Se questa dovesse cadere, potrebbe anche essere la fine per l'Isis.
Stando a diversi osservatori però potrebbe rimanere «una presenza strisciante» in entrambe le nazioni. In ogni caso a fare più paura di, fucili e bombe è l'ideologia: «Possiamo anche battere l'Isis con le armi, ma le sue idee troveranno sempre seguaci», hanno confermato le autorità irachene a 20 Minuten. Ma c'è chi è più ottimista: «Non può durare a lungo, se cade il Califfato allora cade anche Daesh, significa che Allah non era con loro», conferma l'esperto di terrorismo Roland Propp.