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COREA DEL NORDSimulò la propria morte per sfuggire al regime: era diventato troppo ricco

11.07.16 - 16:00
La storia di un uomo che, grazie al mercato nero, era finito nel mirino del Governo. Ora vive in Corea del Sud, e tutti in patria lo credono morto
Simulò la propria morte per sfuggire al regime: era diventato troppo ricco
La storia di un uomo che, grazie al mercato nero, era finito nel mirino del Governo. Ora vive in Corea del Sud, e tutti in patria lo credono morto

PYONGYANG - Un ex manager di hotel nordcoreano, diventato molto ricco grazie al mercato nero, ha raccontato a Radio Free Europe / Radio Liberty come si è trovato costretto a simulare la propria morte e a fuggire dal Paese per sfuggire dalle ire del governo, guidato all'epoca (i primi anni Duemila) da Kim Jong-Il. Egli vive nel più completo anonimato: ha cambiato nome, rifiuta di farsi fotografare e non è iscritto a nessun social network. 

Dzhon Khen-mu era, grazie al suo lavoro, uno dei pochi autorizzati ad entrare in contatto con stranieri. Un giorno regalò a un cliente giapponese una scatola di ginseng, e in cambio ricevette 300 dollari. L'uomo usò quella somma (relativamente ingente per gli standard del Paese) per iniziare a importare abiti, biciclette e altra merce dalla Cina, per poi rivenderla clandestinamente. Il governo nordcoreano, infatti, vietava le attività commerciali individuali ma un mercato nero era fiorito fin dagli anni '90.

Ben presto, ha dichiarato Dzhon, accumulò un capitale di 100mila dollari, ovvero il salario medio di oltre 100 lavoratori. I suoi clienti continuavano a rivolgersi a lui per supplire alle carenze delle forniture governative, ma allo stesso tempo l'aver accumulato somme sempre maggiori di valuta straniera lo mettevano in pericolo: «Era una minaccia per le autorità, specialmente se il denaro non veniva spartito nella quantità da loro desiderata». 

Quanto i suoi colleghi iniziarono a sparire, Dzhon capì che anche per lui era questione di tempo: «Stavano decisamente per venire a prendermi». Ritenendo «troppo rischioso» varcare il confine con l'intera famiglia, l'uomo decise di scomparire da solo. Lo fece comprando per 50 dollari un falso certificato di morte, secondo il quale egli era deceduto in un incidente stradale. «Era l'unica opzione sicura per la mia famiglia». 

L'uomo riuscì a raggiungere la Cina, e dopo quattro mesi chiese asilo politico all'ambasciata della Corea del Sud. Giunto a Seul fu avvicinato dai servizi segreti sudcoreani, e gli fu dato un sostegno per adattarsi alla vita del Paese: «È molto difficile, per chi ha vissuto tutta la vita in una nazione socialista, adattarsi allo stile di vita capitalista. Al Nord il Partito regola qualsiasi aspetto della tua vita - non devi prendere decisioni. Al Sud devi prenderle tutte tu, e all'inizio è incredibilmente difficile da capire». 

Il 60enne Dzhon oggi lavora presso una stazione radio sudcoreana che cerca di raggiungere il Nord per contrastare la propaganda di Pyongyang. Non si è mai risposato e dice di non aver mai avuto la tentazione di contattare la sua famiglia al Nord: «Se il Partito scoprisse che sono vivo e abito in Corea del Sud, passerebbero dei grossi problemi. Finché sono 'morto' loro sono vivi. Ci penso ogni giorno».

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