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LOCARNOVivere un grande amore: il cinema

13.08.13 - 08:09
Incontro–intervista con il regista Stefano Knuchel, nuovo responsabile della Summer Academy del Festival del film Locarno
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Vivere un grande amore: il cinema
Incontro–intervista con il regista Stefano Knuchel, nuovo responsabile della Summer Academy del Festival del film Locarno

LOCARNO - Da tutto il mondo, verso un’unica meta: il Festival festival del film Locarno. Non importa come si viaggia, l’importante è arrivare. Per vivere fino in fondo un’opportunità. È il senso di una storia che ci ha raccontato il regista Stefano Knuchel, nuovo responsabile della Summer Academy, un progetto di formazione cinematografica del Festival: «Il primo giorno riconosco tra la gente un volto selezionato nelle candidature giunte dal mondo intero per partecipare alla Summer Academy. Strano, mi sono detto, perché doveva arrivare solo domenica. Per non perdersi un solo giorno di festival, il giovane ha anticipato il suo arrivo, portandosi appresso il sacco a pelo per poter dormire anche per strada. Ovviamente gli abbiamo trovato alcune sistemazioni provvisorie fino a domenica, da quando è assicurata la sua camera d’albergo. Questo episodio ha in sé una forza straordinaria: credere in sé stessi, nei propri sogni, rincorrerli e perseguirli con ostinata determinazione. Il cinema è davvero un’arte giovane e ha bisogno della sua forza dirompente».

Sono tutti animati dalla passione del cinema, i/le giovani che frequentano la Summer Academy, divisa in tre sezioni: Filmmakers Academy, un’iniziativa del Festival rivolta a cineasti provenienti da tutto il mondo; Documentary Summer School, organizzata dall’Università della Svizzera italiana; Cinema e Gioventù, proposta dal Centro didattico cantonale; e la Critics Academy, realizzata in collaborazione con il sito web Indiewire e il Lincoln Center di New York.

Qual è l’obiettivo di questo progetto?
"Si tratta di un progetto in divenire che mira a creare maggiori sinergie tra le varie sezioni per convergere sempre di più verso uno scopo molto preciso: trasformare l’educazione proposta qui al Festival in qualcosa di produttivo. Per quanto sia importantssima, non vogliamo limitarci solo alla riflessione sul cinema, ma vogliamo che si trasformi in azione".

Da regista alla guida di una accademia: ha accolto con piacere questa sfida che la mette a contatto con i giovani?
"Vorrei partire da due parole a cui si può attribuire un peso diverso: precarietà e flessibilità. Possono essere usate entrambe in modo negativo, cioè indebolire l’identità delle persone e la loro capacità di resistere ad altre logiche che non siano le loro. Ma possono essere anche lette diversamente: essere consapevoli che un lavoro è fatto di mille sfaccettature, che tutto cambia e nulla dura per sempre. Oggi i registi non sono più solo i realizzatori di un film. Compiono performance, girano video artistici, realizzano pubblicità, si dedicano all’insegnamento. È un continuo vedere lo stesso oggetto del desiderio – ossia l’immagine in movimento – in tante prospettive".

Per esempio?
"C’è una bellissima opera che si chiama «24 hours psycho», di Douglas Gordon. Èpraticamente il film di Alfred Hitchcock presentato in modo tale che duri 24 ore. Si muove molto lentamente ed è proiettato su un telone a cui si può girare attorno. Sei così completamente immerso nella dinamica del film, nella sua lentezza, nei suoi dettagli. È una forma espressiva che dissacra l’idea statica «poltrona-schermo»"

Il cinema oltre il cinema?
"Oggi il cinema ha rotto un milione di barriere psicologiche. È normale passare dalla realizzazione di un film a un programma TV, passando da istallazioni artistiche. Oggi questa compenetrazione di ruoli – che ho constatato selezionando i profili dei candidati – è la normalità".

Siamo sempre più schiavi delle immagini, della comunicazione, nel bene e nel male. Quanto è importante dialogare con i giovani sull’importanza e la forza dell’immagine?
"È essenziale e in questo il Festival di Locarno si è sempre distinto. Ed è bene andare in fondo a questa logica. La sezione Cinema e Gioventù è rivolta a persone che si confronteranno con il cinema. Lo scopo non è farne dei registi, ma renderli consapevoli di che cosa può essere il mondo dei cinema. Ci sono molti elementi in gioco: politici, sociali, estetici, economici".

Che cosa spinge questi giovani a candidarsi alla Summer Academy?
"Il Festival del film Locarno difende una certa idea di cinema: ha un’etica, sostiene l’esplorazione, la ricerca di identità. È fantastico che un festival possa vivere 66 anni nel XX e nel XXI secolo – con tutti i suoi casini – e conservare questa idea di fondo. In questa «overdose» di proposte internazionali, Locarno è e rimane un valore. Abbiamo una storia e soprattutto uno spirito che ci guida nell’organizzazione del lavoro. I giovani sono molto sensibili a questo discorso di identità e di coerenza, perché in loro hanno forti ideali".

Ma sono anche aperti al cambiamento?
Nei giovani c’è una grandissima voglia di trovare nuovi linguaggi. Hanno voglia di sperimentare, di esplorare territori dove il conformismo è bandito. Hanno il coraggio, la passione e la voglia di mettersi in gioco. I giovani sono pronti a difendere un certo tipo di cinema che sfugge alle logiche commerciali. Èun flusso in costante crescita. Sono animati dal quel fuoco sacro che fa ardere la passione. Ci sono ragazzi che dal Sudamerica sono fuggiti a Berlino, dove vivono in provincia, in un capannone. Con cinquanta persone hanno recuperato una zona dismessa, l’hanno trasformata in un set cinematrografico dove hanno lavorato per tre mesi nella produzione di un cortometraggio. È un’operazione che non porta nulla economicamente, che non migliora la loro vita materiale. Ma vivono un grande amore. E quando per la Summer Academy devo scegliere tra profili così, faccio un’enorme fatica a prenderne uno e scartarne un’altro. Queste storie mi danno una forza pazzesca. E ti ricordano a che cosa serve la cultura.

A che cosa serve?
"È una domanda che mi pongo tutti giorni. Odio l’idea della cultura come un «amusement» per persone raffinate. Per me la cultura è senso, prospettiva, profondità. Ho girato un documentario a Timor Est su un gruppo di persone che, dopo uno sterminio e in assoluta povertà, hanno costruito una scuola di Belle Arti. La gente dormiva negli armadi per poter dipingere e studiare il mattino. La cultura non è un capriccio, un gingillo. È l’aria che respiriamo".

Che costa ti ha spinto a fare il regista?
"Mi viene in mente la bellissima frase di uno scrittore francese: «la vita consiste nel risolvere un ricordo». Ho l’impressione che il cinema sia davvero magia: vedere la gente che si muove, non nella realtà, ma nell’atto filmato e riprodotto, è una sensazione potente. Girare un film è un atto magico e un atto magico è una forma di catarsi, una liberazione. La liberazione dai demoni. Un regista ha dentro di sé se demoni che deve risolvere. Una volta risolti, può anche smettere".

 

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