Per i Verdi del Ticino il progetto presentato oggi da Vitta a Berna è migliore di quello del Consiglio federale, ma «non risolve il problema di fondo»
BELLINZONA - I Verdi del Ticino sono del parere che la clausola di salvaguardia presentata oggi a Berna dal Consigliere di Stato Christian Vitta sia preferibile a quella proposta dal Consiglio federale, «e questo perché tiene conto della situazione regionale e delle specificità del frontalierato rispetto all'immigrazione». Ad ogni modo, la proposta «non avrà un effetto preventivo sul deterioramento del mercato del lavoro. Le misure proposte infatti verrebbero adottate nei settori economici o nelle regioni quando la situazione è già giudicata grave (tasso di frontalieri, tasso di disoccupazione e livello dei salari che si discostano di molto dalla media) e avrebbero una durata limitata nel tempo. Si riproporrebbe quindi lo stesso meccanismo dei contratti normali di lavoro (cnl): soluzioni non preventive e risolutive ma “lenitive ” e temporanee, introdotte solo quando le condizioni peggiorano».
Non è chiaro inoltre cosa succederebbe in quei settori industriali dove la disoccupazione SECO è molto bassa, dichiara la coordinatrice Michela Delcò Petralli, «ma solo perché le condizioni salariali e di lavoro hanno di fatto escluso da anni i residenti. Pensiamo ad esempio alla fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, dove l'80% dei dipendenti proviene da oltreconfine e il salario è calato dell11,4% in termini nominali fra 2008 e 2012 o alle industrie tessili e dell’abbigliamento (75% di personale frontaliero, 70% con formazione primaria e salario in calo del 16,4%, dati Ustat)». Anche nell'industria chimico-farmaceutica solo un addetto su due è ticinese, e il salario mediano è quasi del 50% inferiore a quello nazionale.
Per risolvere i problemi che affliggono il mondo del lavoro ticinese non basta una clausola di salvaguardia. «Senza criteri qualitativi che garantiscano posti di lavoro per la manodopera residente, il nostro Cantone continuerà ad attirare imprese interessate solo a sfruttare personale a basso costo e a sfruttare le condizioni fiscali vantaggiose, tanto più che la Riforma III della fiscalità delle imprese, discussa durante questa sessione dalle Camere, abbasserà ulteriormente le imposte sull'utile per la maggior parte delle aziende».
La situazione ticinese è apparentemente contraddittoria: il numero di imprese e di posti di lavoro negli ultimi anni è cresciuto più della media nazionale, eppure aumentano i disoccupati ai sensi dell'ILO e sempre più persone escluse dal mondo del lavoro finiscono in assistenza. «In compenso ci siamo ritrovati con un territorio tappezzato di edifici industriali, una rete viaria al collasso e l'aria irrespirabile. Dobbiamo deciderci ad operare una svolta qualitativa nello sviluppo economico perché ormai è chiaro che questa crescita quantitativa non ha portato nessun beneficio alla popolazione, anzi. Deve essere chiaro che le imprese che operano in Svizzera devono pagare salari dignitosi che permettano alla manodopera residente di vivere e dobbiamo adottare misure per favorire il reinserimento dei disoccupati locali, che sono molti di più di quanto emerge dai dati SECO. Il nostro obiettivo dev'essere quello di garantire la qualità di vita delle persone che vivono sul nostro territorio e a lungo termine, non solo quella di favorire una crescita economica immediata e a vantaggio di pochi», conclude Delcò Petralli.