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CANTONE / FRIBURGOPiazza finanziaria ticinese, 1.500 esuberi

13.10.14 - 21:23
Il professore dell'Università di Friburgo, Sergio Rossi: "BSI non sarà l'unica a licenziare. Le altre banche taglieranno, ma a scaglioni, e in silenzio, cercando di evitare il clamore mediatico"
Foto composizione (Archivio Keystone)
Piazza finanziaria ticinese, 1.500 esuberi
Il professore dell'Università di Friburgo, Sergio Rossi: "BSI non sarà l'unica a licenziare. Le altre banche taglieranno, ma a scaglioni, e in silenzio, cercando di evitare il clamore mediatico"

FRIBURGO – Dal 1° gennaio del 2018 la Svizzera attuerà lo scambio automatico delle informazioni fiscali uniformandosi così al nuovo standard globale dell'Ocse. Le grandi banche svizzere, che competono sui mercati mondiali, si stanno ormai da tempo attrezzando al nuovo corso. Più difficile sarà per le piccole banche e per la piazza finanziaria ticinese che, come ci ha spiegato Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria presso l’Università di Friburgo, è rimasta ferma agli anni '90.

Professore, fra tre anni arriva lo scambio automatico. Che problema c'è?
"Il problema è che in Ticino, e in parte nella piazza ginevrina, non si è attrezzati culturalmente e in termini di strategia aziendale per questo cambiamento epocale".

Come mai?
"Nel Canton Ticino resiste la monocultura della piazza bancaria orientata alla gestione transfrontaliera dei patrimoni non dichiarati in Italia. E fino ad ora su questa piazza non si è visto il cambiamento di paradigma necessario per affrontare le diverse sfide che già da alcuni anni si possono intravedere a livello globale. Chi prima si attrezza per il futuro, meglio riuscirà a restare in sella. Il problema per il Ticino, più che per il resto della Svizzera, è di regolare il passato, che pesa come un macigno sulle banche".

Secondo il professor Rossi, continuare ad ostinarsi a perseguire il vecchio paradigma non porta altro che a una perdita di competitività del settore bancario in termini di rendimenti. Ciò, a medio termine, potrebbe portare a un forte indebolimento della piazza ticinese nel cospetto di una concorrenza globale, che si è fatta sempre più forte.

A questo punto, cosa bisogna fare?
"E' ora che i capitali vengano dichiarati. E per attirarli bisogna fare in modo che il rendimento al netto delle imposte sia all'altezza delle aspettative. La concorrenza su questo piano è ormai globale. Hong Kong, Singapore, Stati Uniti d'America e Regno Unito sono ormai attrezzati per il nuovo paradigma. Tuttavia bisogna rilevare che negli Stati Uniti e nel Regno Unito, così come in altre piazze, esistono ancora delle nicchie di regimi fiscali opachi, che permettono per esempio ai trust di nascondere alle autorità fiscali i proprietari dei capitali in gestione. Così facendo, molti di questi capitali restano non dichiarati".

Alla Svizzera non resta altro che adeguarsi allo scambio automatico?
"Sì, è inevitabile. Bisognerà tuttavia vedere come sarà attuato lo scambio delle informazioni, che uso ne faranno gli Stati e quali Stati attueranno lo scambio automatico con la Svizzera. Si dovrà inoltre capire quali contropartite la Svizzera potrebbe magari ottenere".

Contropartite? Non è troppo tardi, ormai?
"Si sarebbe dovuto negoziare quattro o cinque anni fa con l'Italia e con la Francia, perché ciò avrebbe consentito alla Svizzera maggiori vantaggi di quanto essa può sperare di ottenere ora, dato che questi paesi sanno ormai che lo scambio automatico d'informazioni sarà operativo dal 2017 e i primi dati arriveranno nel 2018. La Svizzera, ciononostante, potrebbe anticipare di un anno o due l’attuazione di questo scambio d’informazioni con questi due paesi, che hanno un disperato bisogno di entrate fiscali, chiedendo loro delle contropartite interessanti per il settore bancario elvetico, come un rapido accesso al mercato dei servizi finanziari in Italia e Francia".

Le banche svizzere ora di cosa hanno bisogno?
"Di fronte all'incertezza attuale le banche hanno bisogno di chiarezza. Con quali e quanti Stati la Svizzera attuerà lo scambio automatico d’informazioni? Le banche dovranno assumersi dei costi per adeguare le proprie competenze attraverso l'assunzione di diversi specialisti per rispettare le nuove normative ed evitare problemi giuridici e rischi reputazionali".

Cosa prevede per la piazza finanziaria ticinese per i prossimi anni?
"Un ridimensionamento e tagli dolorosi, inevitabili. BSI recentemente ha operato in Ticino oltre 100 licenziamenti. Ma non sarà l'unica a tagliare. Altre banche seguiranno: opereranno tagli a scaglioni, possibilmente in silenzio, per non sollevare clamore mediatico e subire delle pressioni politiche".

E le piccole banche?
"Di fronte a costi operativi in crescita e con la necessità di disporre di conoscenze di punta nell'ambito della fiscalità internazionale, dovranno fondersi. I licenziamenti saranno inevitabili e numerosi".

Perché ci saranno tanti licenziamenti?
"Perché le banche hanno bisogno di nuove competenze, per esempio nei servizi informatici, nella compliance, in ambito giuridico, eccetera, che il personale bancario in esubero non sarà in grado di offrire. Ci saranno tanti posti di lavoro disponibili per il personale qualificato e tanti disoccupati con competenze non più richieste".

Si possono già prevedere le dimensioni?
"I posti in esubero saranno 1000–1500. I nuovi posti da riempire andranno dai 500 ai 700".

La piazza bancaria ticinese saprà ritrovare la forza di un tempo?
"Sono ottimista, ma il rilancio non avverrà prima del 2020. Sarà un periodo di transizione difficile, che avrà delle conseguenze negative, in quanto vi saranno molte persone in disoccupazione. Soltanto le banche che sapranno innovare i loro prodotti e la loro gestione aziendale potranno essere vincenti".

Dove ha sbagliato la piazza finanziaria ticinese?
"Si è pensato per troppi anni di poter guadagnare molti soldi andando avanti per forza d’inerzia, ossia senza adoperarsi per l'innovazione che permette di competere con il resto del mondo. Si è vissuto di rendita e quando è arrivata la crisi ci si è trovati impreparati. Anche in ambito di formazione bancaria e finanziaria si è andati avanti come se fossimo negli anni '80 e '90. Non si è stati capaci di anticipare i tempi".

La Confederazione e il Cantone non potrebbero intervenire?
"In Ticino, come in Svizzera, lo Stato non attua una vera politica economica, visto che si limita a una politica risparmista, dimenticandosi del suo ruolo di soggetto economico. E in Ticino, più che altrove, è evidente come molti soggetti economici assumano comportamenti da gregari, seguendo le mode del momento. Ma se lo Stato non regola il mercato, quest’ultimo è lasciato a se stesso e diventa volatile, creando perciò incertezza proprio agli imprenditori che operano sul nostro territorio. Non basta avere le condizioni quadro, ossia la ricerca, il fisco attraente, la stabilità politica, i tassi d'inflazione contenuti e i tassi d'interesse bassi e stabili, per restare competitivi in un mondo globalizzato. Un grande paese liberale come gli Stati Uniti ha attuato una politica industriale chiara, indirizzando in questo modo gli investimenti privati, consentendo all’economia statunitense di crescere e di creare numerosi posti di lavoro. Guardiamo inoltre alla Germania: ha saputo mantenere forte e competitiva a livello mondiale la sua industria e ha diversificato i propri sbocchi. In Svizzera la politica industriale non esiste. Ma non si vive di sola finanza. E' l'industria che in fin dei conti permette alle banche e alla finanza di avere dei profitti. La finanza deve essere funzionale allo sviluppo economico, non deve essere fine a se stessa, perché se resta autoreferenziale si va verso un'inevitabile crisi. E l'economia non deve essere il fine, ma il mezzo per soddisfare i bisogni delle persone, anche di quelle meno benestanti e neglette dalla classe politica che ha responsabilità di governo".

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