Cerca e trova immobili

CANTONEOspedali ticinesi, "Eldorado per i medici italiani"

03.09.14 - 19:27
Negli ultimi dieci anni il tasso di personale medico straniero negli ospedali svizzeri è più che raddoppiato, raggiungendo il 40%. Simone Ghisla, presidente dell’ASMACT: "Ticino poco attrattivo per i medici ticinesi, ecco come farli tornare"
Foto d'archivio (Tipress)
Ospedali ticinesi, "Eldorado per i medici italiani"
Negli ultimi dieci anni il tasso di personale medico straniero negli ospedali svizzeri è più che raddoppiato, raggiungendo il 40%. Simone Ghisla, presidente dell’ASMACT: "Ticino poco attrattivo per i medici ticinesi, ecco come farli tornare"

BELLINZONA – Negli ultimi anni il numero di medici stranieri è esploso. Se nel 2003 i medici stranieri rappresentavano il 16% del totale, nel 2011 la percentuale è salita al 26%. Nel 2013 il tasso di stranieri tra i medici operanti in Svizzera sfiora ormai il 30%. Ancora più delicata si presenta la situazione negli ospedali elvetici, dove il tasso di medici stranieri assunti sale al 35% e supera, in taluni casi, il 50%. 

In Ticino sono i medici italiani ad aver trovato l’Eldorado. Così ci ha spiegato Simone Ghisla, presidente dell’ASMACT, Associazione Svizzera dei Medici Assistenti e dei Capi clinica Ticino. Il giovane medico, classe 1983, che ricopre il ruolo di capoclinica all’ospedale La Carità di Locarno, ci ha spiegato quali scelte potrebbero facilitare il ritorno in Ticino dei medici ticinesi fuori cantone. 

Entrare in un ospedale ticinese è come entrare in una piccola Babele: si sentono parlare tante lingue e accenti diversi. Poi si viene a sapere che in Svizzera tanti giovani vorrebbero diventare medici, ma c'è il numerus clausus e 3.000 donne appendono il camice al chiodo per i motivi più svariati. Come mai negli ospedali elvetici si è assistito a un aumento così importante di personale medico proveniente dall'estero?
"Il problema di base è di tipo formativo: il numerus clausus. Su quasi 3.000 iscritti nella facoltà di medicina umana sono soltanto 1.200 a trovare posto nelle università elvetiche. Le ragioni di questa carenza risiedono nei costi, perché creare un posto di medicina costa parecchio. L'ASMACT difende il progetto di istituire un master in medicina umana in Ticino. Così si compenserebbe in parte la mancanza di medici ticinesi e svizzeri".

Negli ultimi anni la percentuale di personale medico straniero negli ospedali svizzeri è schizzato al 40%. E' solo un problema di numerus clausus o ci sono altre ragioni legate al risparmio?
"No, un medico straniero viene pagato tanto quanto uno svizzero. La situazione del Ticino è particolare nel cospetto svizzero. E' abbastanza facile reperire assistenti, medici, capiclinica in Italia, con ottima formazione e curriculum sicuramente più lunghi del medico svizzero. Il Ticino rappresenta l'Eldorado per il classico medico italiano che vuole venire a lavorare in Svizzera. Il medico ticinese, che si è formato in Svizzera Interna in un ospedale universitario e magari ha avuto esperienze all'estero, non trova sempre un terreno fertile per svolgere la professione in Ticino. Vi sono problemi di pianificazione ospedaliera, attualmente al vaglio del Gran Consiglio, che rendono la situazione difficile. Un medico ticinese che vorrebbe tornare a casa si ritrova una situazione pianificatoria ospedaliera caotica, che lo scoraggia a tornare. Il nostro auspicio è che si possa trovare una soluzione che permetta al medico ticinese di poter tornare e di svolgere il proprio lavoro in Ticino”.

L'appello è quindi lanciato alla politica: fate in modo che anche il medico ticinese possa tornare a casa a esercitare la professione e dare il proprio contributo al Ticino…
"Conosco tanti medici ticinesi che lavorano in Svizzera interna che non tornano perché non è sempre possibile trovare delle situazioni confacenti alle proprie aspirazioni. La nascita di un ospedale cantonale con collaborazioni di tipo universitario potrebbe favorire il loro ritorno. Va anche detto che, in Ticino, bisogna tener conto delle sensibilità e delle esigenze delle periferie. Centralizzare sì laddove si parla di specialità, ma anche non abbandonare le periferie laddove si parla di medicina e di chirurgia di base. Anche perché se non si vuole lo spopolamento delle valli bisogna creare le condizioni per evitare che ciò accada".

La figura romantica del medico con la borsa piena di strumenti che si occupa dei malati del villaggio è ormai tramontata da tempo. Oggi il medico pensa soltanto alla carriera?
"Non esiste soltanto una tipologia di medico, ma diverse. C'è chi predilige la medicina e la chirurgia generale e c'è chi, invece, le specialità. Effettivamente, negli ultimi tempi, aumentano coloro che si indirizzano nelle specialità, tralasciando la medicina di base. Dal momento che, al giorno d'oggi, è difficile fare il medico a metà tempo, ecco che diventa difficile per una giovane dottoressa in medicina interna poter aprire un suo studio in periferia o lavorare in ospedale. La medicina si sta femminilizzando e dobbiamo permettere alle donne di poter lavorare, in maniera tale che possano conciliare la carriera professionale con gli impegni familiari”.

Negli ospedali i ritmi e gli orari di lavoro sono intensi e dilatati. Il medico in ospedale non ha vita facile...
"Il nostro contratto collettivo di lavoro prevede un massimo di 50 ore settimanali. Un limite non sempre rispettato, anche se ultimamente si sta avendo un occhio di riguardo nei confronti della qualità di vita del medico. Il punto centrale, in tutti i casi, è la formazione. E una sede universitaria di master in medicina può portare a dei benefici in questo campo. Ma non solo: favorire l'assunzione di medici al 50%, soprattutto se donne e neo-mamme. Noi di queste donne nel sistema sanitario ne abbiamo bisogno. Se non riusciremo a farlo non dovremo poi meravigliarci se continuano ad arrivare medici dall'estero".

L'idea del medico che deve sposare la causa dell'ospedale in cui lavora è ancora molto ben radicata...
"Conosco medici che lavorano al 50% anche all'interno della nostra struttura e lo fanno bene. A Locarno sono tendenzialmente ben disposti ad affrontare l'argomento. Il professor Rosso, nel suo discorso d'insediamento quale Presidente della Società svizzera dei chirurghi, ha sottolineato questo aspetto. La sensibilità di fronte a questo argomento sta aumentando. Ora bisogna passare dalle parole ai fatti.
L'EOC dovrebbe mettere a disposizione un asilo nido nei quattro ospedali regionali di Mendrisio, Locarno, Lugano e Bellinzona che possa far fronte a queste esigenze”.

Nelle altre realtà svizzere ed estere esistono asili nido che consentono alle mamme dottoresse di poter conciliare lavoro e famiglia?
"Esistono. Posso portare come esempio l'Inselspital di Berna, dove ho lavorato e dove esiste un grande asilo nido che accoglie un numero impressionante di bambini. Non si può paragonare un nostro ospedale con l'Inselspital, per carità. In tutti i casi sono certo che sarebbero tante le mamme che porterebbero volentieri i loro pargoli in una struttura simile”.

C'è solidarietà, nel momento in cui vi ritrovate a portare avanti una rivendicazione? La vostra voce arriva alle autorità competenti o invece vi manca l'appoggio interno da parte di medici, assistenti e capiclinica?
"I medici che rappresento sono solidali. Noi siamo in contatto con i direttori degli ospedali ai quali presentiamo le nostre istanze. E' chiaro che ci sono delle esigenze aziendali che non vanno sempre nella direzione da noi auspicata. Anche perché si sa che assumere due medici al 50% è diverso che uno al 100%: costa di più all'EOC e c'è meno continuità nel lavoro. In tutti i casi o ci rendiamo conto che assumere personale autoctono al 50% è un valore aggiunto oppure resteremo qui anche in futuro a parlare delle stesse cose senza essere riusciti a migliorare la situazione".  

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
COMMENTI
 
NOTIZIE PIÙ LETTE