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INTERVISTA"Se un paziente diventa aggressivo scatta l'allarme in dieci telefonini"

05.09.13 - 07:50
Ieri a Bari un ex tossicodipendente ha ucciso a coltellate una psichiatra. Quanto sono al sicuro gli operatori dei centri psichiatrici. Ce ne parla Rafael Traber direttore della Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio
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"Se un paziente diventa aggressivo scatta l'allarme in dieci telefonini"
Ieri a Bari un ex tossicodipendente ha ucciso a coltellate una psichiatra. Quanto sono al sicuro gli operatori dei centri psichiatrici. Ce ne parla Rafael Traber direttore della Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio

MENDRISIO - Un ex tossicodipendente 44enne con problemi di alcol ha ucciso con 40 coltellate una psichiatra  di un Centro di salute mentale di Bari. L’episodio porta alla ribalta il tema del rischio a cui sono sottoposti gli operatori di strutture simili.  Un rischio che chi lavora in un ospedale come la Clinica psichiatrica di Mendrisio conosce molto bene. Ne abbiamo parlato con Rafael Traber, medico Fmh psichiatria e psicoterapia, direttore della Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio

Quanto spesso accade che i pazienti diventino violenti?
"Posso stimare che il 5-10% dei nostri pazienti ha certamente un potenziale di auto o eteroaggressività. Per me è importante dire però che normalmente il paziente psichiatrico non è pericoloso né aggressivo. Queste tendenze si possono manifestare nei momenti di scompenso della psicosi, di intossicazione con sostanze o manifestarsi come autoaggressività nei momenti di depressione grave".

È possibile prevedere l’aggressività di un paziente?
"Bisogna prendere in considerazione tanti fattori di rischio. È necessario fare una buona anamnesi, una buona diagnosi e terapia per evitare atti violenti. Per esempio possiamo capire che il paziente è teso, può averci minacciati o sappiamo che nel suo passato ha già compiuto atti etero-autoaggressivi. La prevenzione è molto importante".

Come si previene l’atto violento?
"Ci sono dei metodi di de-escalation e il personale della Cpc è formato a queste tecniche. Si è formati a parlare al paziente in un certo modo, tranquilizzarlo, non metterlo sotto pressione, proporgli una soluzione".

E se queste tecniche non dovessero essere sufficienti?
"Ci sono delle tecniche di intervento per evitare il passaggio all’atto, come una farmacoterapia che tranquillizzi il paziente. In caso estremo, poi, c’è un sistema d’allarme con un’équipe di infermieri e il medico di guardia che intervengono nel giro di pochi secondi. Ogni collaboratore ha con sé un dispositivo che, se azionato, allarma dieci telefonini. Certamente facciamo anche attenzione che pazienti potenzialmente violenti non siano mai da soli con un operatore".

Esiste un rischio per il personale di subire atti violenti?
"C’è certamente un certo rischio per il personale medico e infermieristico della clinica. Grazie alle misure che abbiamo preso il rischio è minimo, ma questo è comunque un aspetto noto a ciascun collaboratore e può succedere".

È un rischio del mestiere, insomma.
"No. Noi non accettiamo la violenza come un rischio del mestiere. Ogni violenza ha anche una conseguenza e accompagnamo il collaboratore nella decisione di sporgere denuncia o meno perché le leggi valgono anche all’interno della clinica. Ogni atto eteroaggressivo, anche se piccolo, può essere denunciato. Per quanto riguarda i pazienti scompensati, tuttavia, gli operatori hanno comprensione della loro sofferenza".

Ci sono delle misure di punizione interne del comportamento violento dei pazienti?
"No, non ci sono conseguenze punitive. Se il paziente passa all’atto cerchiamo di capire il suo comportamento, lo stress e la sua vulnerabilità. Consideriamo tutte le misure necessarie per evitare l’atto violento. Discutiamo se abbiamo inquadrato bene il livello clinico, il rischio e la terapia farmacologica. Il nostro compito è di proteggere il paziente dalla sua stessa aggressività".

L’omicidio di Bari è stato commesso da un paziente esterno. Nell’ultimo anno avete avuto problemi di aggressività con i pazienti che possono uscire all’esterno della clinica?
"No, il nostro compito è di fare in modo che i pazienti che presentano un rischio di passaggio all’atto non possano uscire da soli, ma solo accompagnati".


 

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